Un Paese si giudica da come sa gestire il proprio ambiente naturale

Nell’estate del 2007 si costituì un comitato spontaneo di cittadini per testimoniare la propria viva preoccupazione per gli sviluppi dell’inchiesta “Chernobyl”, condotta dalla Procura della Repubblica  di Santa Maria Capua Vetere (Ce). Dall’indagine svolta dai suddetti inquirenti risultava che su alcuni terreni del Vallo di Diano era stato depositato compost tossico di dubbia provenienza. Al di là dell’emotività del momento successivo al diffondersi delle notizie provenienti dall’autorità giudiziaria, iniziammo a lavorare nella duplice direzione di sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo derivante dall’inquinamento ambientale, con le conseguenti ricadute negative sulla salute pubblica, ed in contemporanea ci adoperammo a denunciare ogni comportamento , anche omissivo, che potesse produrre inquinamento dell’ambiente naturale del Vallo di Diano. Organizzammo finanche un convegno sul tema delle possibili correlazioni tra la tutela dell’habitat e quella della salute, con particolare riferimento all’incremento delle patologie tumorali nel nostro comprensorio. Nel contempo ci attivammo pure per monitorare il controllo dei terreni sottoposti a sequestro, su cui erano state riversate sostanze tossiche, e purtroppo constatammo che erano stati tranquillamente innaffiati e ricolmi di frutti. Allertammo conseguentemente il Comando del Nucleo Operativo Ecologico del Carabinieri di Salerno, perché scongiurasse la presumibile immissione dei prodotti agricoli sul mercato. Ci rivolgemmo anche ai sindaci dei comuni interessati dai provvedimenti di sequestro dei fondi agricoli, affinchè ponessero in essere “interventi, attesa l’estrema pericolosità derivante dalle attività criminali di smaltimento illecito di rifiuti”, come risulta da una richiesta ufficiale fatta ad essi dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere nel mese di agosto 2007. Nel successivo mese di settembre il comitato ricorse alla Comunità Montana, perché “si adoperasse per l’immediato monitoraggio del territorio ed una continua ed attenta sorveglianza “ ed al Presidente della Provincia di Salerno, perché “supportasse, dal punto di vista tecnico ed economico, l’azione della bonifica dei terreni sequestrati……..ed attivasse, attraverso i prelievi di campione, un monitoraggio specifico dei terreni agricoli del Vallo di Diano, relativamente alle sostanze tossiche sparse su di essi, pubblicizzando adeguatamente i risultati di questo lavoro”. Purtroppo sulle nostre richieste calò un silenzio assordante e così  il comitato mollò la presa, anche perché nel mese di novembre venimmo a conoscenza del progetto di costruire una centrale termoelettrica a biomasse nel territorio di Atena Lucana. Concentrammo le nostre energie in tale direzione, perché eravamo contrari a che il  comprensorio valdianese  divenisse una camera a gas. Certo tale affermazione era una forte provocazione, ma come altrimenti dovevamo agire se l’indifferenza della classe politica locale, di qualsivoglia colore politico, ci impediva un’interlocuzione per così dire meno provocatoria? Le nebbie, che avevano avvolto la nostra vallata per l’inchiesta Chernobyl, diventarono per la centrale a biomasse ancora più fitte ed anche in questo caso ci arrendemmo, dopo aver lavorato intensamente per più di un anno. I nostri sacrifici, però, non andarono in fumo, perché di lì a poco intervenne nuovamente la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, che fece arrestare alcuni imprenditori, coinvolti nel progetto dell’impianto termoelettrico valdianese, all’atto di consegnare denaro a consulenti della Regione Campania. Questo risultato positivo ci rinfrancò e decidemmo di aspettare pazientemente che si concludesse la fase preliminare dell’inchiesta Chernobyl, vigilando sulle notizie che provenivano dalla suddetta procura. Recentemente è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per 38 persone, residenti in varie provincie campane, e tra di esse vi sono anche due abitanti del nostro comprensorio. Per loro la motivazione del provvedimento giudiziario è che “in qualità di componenti del’organizzazione criminale cagionavano un disastro ambientale a causa dello spandimento ed illegittimo smaltimento di rifiuti” contenenti cromo esavalente, sostanza altamente cancerogena. Il responsabile locale del Codacons, R. De Luca, che ha divulgato per primo la notizia, si è immediatamente mosso per richiedere nuovamente ai rappresentanti istituzionali di approntare la bonifica dei terreni, allocati a San Pietro al Tanagro, San Rufo, Sant’Arsenio e Teggiano. Il sindaco di quest’ultimo paese si è detto al momento in attesa di comunicazioni ufficiali e nel contempo, insieme agli altri sindaci coinvolti, ha annunciato la costituzione di parte civile nel relativo processo. Forse, però, la bonifica prevede altre modalità d’azione, ad esempio una concertazione di interventi da parte delle autorità competenti, dal momento che, visti i tempi tecnici di un processo, l’intero comprensorio valdianese non può permettersi di attendere oltre i quattro anni già passati. Accogliamo, quindi, con favore la richiesta dell’on. D. Pica di coinvolgere il livello istituzionale regionale per far fronte a tale emergenza ambientale. Una risoluzione Unesco così recita: “un Paese si giudica da come tutela il proprio ambiente naturale” e noi, che vogliamo bene a quel Paese, continueremo ad impegnarci per far crescere nei  suoi cittadini il senso di appartenere ad una comunità connotata da una cultura ambientale nuova, che deve costituire per noi tutti la spinta ideale giusta, idonea a farci provare sempre e non cedere mai, senza paura di fare e senza paura di sbagliare.

 

Maddalena Robustelli