Conosciamo i Balega (Congo Rd): il mondo della stregoneria

Padre Oliviero Ferro

La stregoneria nel mondo africano ha due aspetti molto chiari e distinti. C’è lo Stregone tradizionale che è uomo del terrore e del male, operatore di iniquità. Egli è amico del diavolo dal quale prende tutto il suo potere per nuocere e per uccidere. C’è poi il Guaritore-Indovino che è il buon curatore e il divinatore in grado di risolvere anche i casi più complessi. La sua opera è sempre a beneficio degli altri ed è amico degli uomini: è considerato come la longa manus dell’opera del tutto benevola di Dio in mezzo agli uomini. I bakilà, guaritori, prendono la loro forza da Dio, mentre ai baloki o ai bakanga, gli stregoni, la forza viene dal diavolo. Pure il diavolo è uno stregone e lo stregone è uguale  a tutti gli altri diavoli: chi è stregone è diavolo. Chi invece è bakilà, è con Dio. Il guaritore è guidato da Dio. Il padrone di tutto rimane sempre “Colui che non dimentica nessuno e che conosce tutti, perché ci ha generati”.  Dio è con i guaritori e li custodisce, affinchè possano agire e beneficare gli altri. Essi sono come degli inviati di Dio. Se l’opera del guaritore fallisce, vuol dire che non è in comunicazione con Dio.  Dio domina pure tutte le trovate degli stregoni: se Dio ti ama, malgrado i loro malefici poteri, non potrà accaderti nulla di male. Uno non può morire, se Dio non lo dà allo stregone. Quando Dio ti manda quei nemici, non puoi avere scampo. Gli stregoni, come i guaritori, non nascono tali, ma lo diventano al villaggio. Si tratta di una eredità che si tramanda di padre in figlio e per la stregoneria, di madre in figlia. Se uno stregone, nonostante sapesse che Dio non lo permette, volesse perseguire nei suoi fini malvagi, dovrà renderne conto a Dio. E capiterà che quello stregone muoia al posto della vittima che voleva uccidere.  Se uno stregone giunge alla vecchiaia, vuol dire che ha eseguito bene il suo lavoro ! La vecchiaia per lui non è una benedizione e quando muore è perché Dio si è stancato di lui. Il vecchio che non è stregone è benedetto e protetto da Dio; lo stregone cercherà di nuocergli indirettamente, contro la sua famiglia (in particolare il figlio e il figlio del figlio) per impedirgli di perpetuare la sua discendenza. Gli stregoni non agiscono mai allo scoperto, come il diavolo, ma in modo subdolo e nascosto. Nessuno sa chi è in effetti lo stregone. Tutti provano terrore verso di lui e cercano di ingraziarselo. Anticamente l’arte della stregoneria era tipica delle donne(che sono potenzialmente delle streghe). Poi, con l’arrivo dei bianchi e il fatto di spostarsi in molti luoghi, anche i maschi hanno imparato quest’arte ! Ecco alcune tecniche. Colpire alle gambe qualcuno, il mulonge. Si mettono delle erbe per terra, uno le calpesta, le gambe si gonfiano. Ci vuole l’antidoto per guarire. Poi ecco il kwabulà(lo stregone entra di notte nella casa della vittima, gli taglia una ciocca di capelli, un po’ di unghie e pezzi di vestito, poi mescola il tutto e lo inserisce in un involucro e lo seppellisce per terra. Quando tutto è marcito, la vittima muore). L’antidoto è rasarsi i capelli, bruciare il vestito e il tutto e lavarsi. Così si neutralizza lo stregone. Tanto tempo fa la stregoneria era tipica delle donne. Conoscevano l’arte del volo, l’usunga, utilizzavano il lwibo (grande canestro) per partecipare a riunioni segrete. Imparavano nuovi metodi e si cibavano di carne umano, dissotterrando cadaveri. Naturalmente cominciò la caccia alle streghe, da parte degli uomini. Quando “veniva scoperta”, era sottoposta a delle prove. La prima era quella del kyapo (si prendeva il nabukenge, un alberello. Bruciato, si raccoglieva la cenere e si preparava una bevanda velonosa. Le donne, vestite solo di foglie di banano, dovevano berla. Poi, uno degli uomini tagliava loro la strada su una linea. La donna , se pisciava 4 volte prima di arrivarci, non era strega. Se non ci riusciva, doveva passare la linea, dopo di che sarebbe svenuta, la lingua si sarebbe spezzata e sarebbe morta. Quindi veniva sventrata e mangiata, come lezione per le donne presenti). La seconda era quella del bracciale di rame (veniva messo nell’acqua bollente. Se veniva estratto, senza scottarsi, non era strega: Altrimenti veniva uccisa). Quando uno stregone muore, nessuno sente pietà, ma si è contenti. Anche se si partecipa al lutto, sarà solo una farsa. Lo stregone non è utile alla società, le reca solo danno, per questo viene paragonato a un bubbone, mtoki, dannoso per l’intero corpo. I bakila, guaritori, hanno doppia attività; guaritori e indovini. Userà il suo potere solo a fin di bene. Sono soliti curare, accompagnati da una musica frenetica, prodotta da paletti battuti aritmicamente su un palo più grosso, misenga, finchè il malato non sia guarito. Ciò avviene ad intervalli. Nel frattempo il guaritore spalma le sue medicine a base di erbe su tutto il corpo del paziente o sulla parte malata, invocando gli spiriti. Per sapere se tale malato può guarire o è condannato a morire, c’è la prova del gallo. Si prendeva un gallo e lo si sgozzava: se la bestia moriva sul posto voleva dire che la causa della malattia risiedeva nel villaggio e il malato non poteva sfuggire alla morte; se invece andava a morire nella foresta, la causa della malattia veniva da fuori e poteva essere vinta.  Ci sono veri e falsi guaritori (diciamo imbroglioni che cercano solo il proprio interesse).  Se fa bene, si attira clienti.  C’erano dei guaritori veramente “miracolosi”. Un’altra arma di cui si servono gli stregoni è il fulmine che,come sempre, raggiunge il suo scopo solo se Dio non vi si oppone. Quando uno viene colpito dal fulmine, ma non rimane ucciso, resta comunque molto stordito. Allora entra in campo il guaritore che prepara dei medicamenti con tondobila (fiori rossi prodotti da erbe nere): si mette il malato vicino al gabinetto e si prepara il fuoco, sopra vi si mette il tondobila. L’acre funo che ne esce infastidisce il colpito dal fulmine. Allora lo si ingabbia dentro una rete e lo si tiene sollevato sopra il fuoco. Quando il fuoco arde per bene sotto di lui, quegli si sveglia come da un sonno prolungato ed è…guarito. Il tutto accompagnato da musica, canti e danze. La seconda “specializzazione” del bakila è quella dell’INDOVINO. Tutti ci vanno da questi uomini che conoscono il “mistero”; sono loro che conoscono le cause che originano le cose. La risposta è sempre pagata con capre, polli, mizabu (conchiglie) e soldi. Se la causa è uno spirito,, misabu, si dissotterra il cranio, l’indovino lo tratta con le sue erbe e poi lo brucia e così elimina il problema.  Se si tratta di uomini, l’indovino, con un abile colloquio, farà ricadere la colpa su qualcuno e sarà subito creduto. Spesso sono degli imbroglioni e profittatori. Un procedimento per divinare è l’alanga, lettura di un determinato numero di denti di animali. Si fanno cadere su una grossa spatola di legno a forma di cucchiaio e in base alla loro posizione, l’indovino riesce a ricostruire la storia con gustosi particolari e a designare “il vero colpevole”. Quando il colpevole è “certo”, si va dallo stregone per la vendetta che genera altre vendette, fino ad eliminare intere famiglie (faide).Un secondo procedimento divinatorio riguarda solo gli spiriti ed è il byele. Consiste in diciotto fibule di piccola antilope, legate in due mucchi di nove. Si getta a una certa distanza il primo e poi l’altro gruppo di ossi: a seconda di come cadono e dalla posizione che assumono si decreterà quale tra gli spiriti è colpevole. In questo caso, il bukila si incaricherà della vendetta. Un terzo procedimento è il lulanga. Consiste in dodici pezzi di canna di differente lunghezza, legati insieme dal mondo,  una corda di locale fabbricazione. I pezzi di canna sono gettati e poi li si “legge”, fornendone un’interpretazione. Il tutto accompagnato dalle maschere che indossano i danzatori del bukila, da piumaggi e pelli di animali.