“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito 62°/56VII 10 settembre 2011, giorni -1

  (cont. dal Capitolo 56, 7° parte Parte settima Storie napoletane Congedato l’autista, Gigano si accomodò nella confortevole Chevrolet dell’americano.Raggiunsero Napoli in poco meno di mezz’ora. Parcheggiarono l’auto a Piazza dei Martiri. Subito dopo, si diressero a piedi verso la Caffettiera, un bar aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Vi si vendevano anche i giornali e il vice-questore Gigano era sempre il primo ad acquistarli durante il turno di notte. Erano circa le 2.00 del mattino, quando entrarono. Di lì a poco i quotidiani sarebbero stati esposti in bella mostra a disposizione dei primi clienti. — Buongiorno, dottò! Sempre all’erta, vero? Anche a quest’ora! — scherzò l’anziano barista, rivolgendosi al giovane poliziotto italiano.— Buongiorno, Ivano. Tu scherzi sempre. Prima o poi, va a finire che t’arresto davvero! Se ci tieni alla libertà, preparaci due belle birre, ma che siano ben ghiacciate, mi raccomando!— Dottò, dottò,[1] non scherziamo con queste cose. Se non m’avete preso finammò[2], lo volete fare proprio ora che tengo quasi settanta anni? Un po’ di umanità, vi prego. Ivano Divonati, da sempre affettuosamente chiamato “Bipede” dagli amici d’infanzia, aveva continuamente vissuto di espedienti nella vita. Da bambino aveva nutrito una vera e propria passione per gli animali, soprattutto per quelli transumanti tra la campagna e i campi arati, dopo essersi innamorato – come era solito dire – della celebre poesia di ’Leopardi’, T’amo pio bove!, inculcatagli a memoria da una maestra innamorata di lui e delle sue capacità. L’invidia conseguente dei piccoli scolari, a volte più dispettosi e crudeli degli adulti, fece il resto. Fu così che il povero Ivano fu soprannominato “Bipede”, un brutto nomignolo che lo avrebbe perseguitato per tutta la vita! Di statura media, con due baffetti sottili a punta in chiara epoca coloniale e i capelli ancora neri e unti, solitamente tirati a lucido, aveva sempre coltivato, sin da giovane età, ambizioni superiori alle sue effettive capacità. Capacità che si riducevano a quelle di un furbastro, votato per natura a fare il portaborse. In realtà, era un vecchio imbroglione analfabeta che, negli anni della giovinezza, riuscì a truffare mezza Napoli: una volta spacciandosi da industriale del caffè, un’altra da agente generale di un’importante agenzia di assicurazione, un’altra ancora addirittura da intellettuale. Accadde negli anni in cui la giovane figlia, Daniela, un “maschiaccio” di fantozziana bellezza, tifosissima di Valentino Rossi e, perciò, soprannominata Vale, dopo avere conseguito in ritardo il diploma di maestra elementare, cercava disperatamente un incarico di insegnamento o una supplenza in un plesso scolastico qualsiasi, purché vicino alla casa paterna. Fu quello, forse, il “pacco” più bello confezionato da “Bipede” e rifilato alla società napoletana. E ciò grazie soprattutto alla sua notevole faccia tosta, resa credibile dalla capacità di bluffare, ostentando insieme sicurezza e arroganza, in virtù delle quali riusciva ad oscurare tutta la sua notoria e grassa ignoranza. Quelli furono i “pacchi” più famosi, che fecero il giro dell’intera città. Ma altri se ne aggiunsero nel corso degli anni, di minore importanza naturalmente. Fino a quando non fu smascherato e denunciato più volte, rinunciando per sempre alle ingiustificate ambizioni della sua vita. In occasione del terzo “pacco”, quello che gli dette la popolarità, riuscì a entrare nel mondo della cultura locale. Nella circostanza, l’ineffabile “Bipede” fece ‘bere’ alle autorità scolastiche e accademiche napoletane la storiella di avere conseguito presso l’università americana di Houston, in Texas, un master in “Storia, cultura e allevamento delle razze ovine, bovine e suine del Mezzogiorno d’America”, al termine di un’originalissima ricerca – da lui, poi, importata in Italia – sul regime pensionistico riservato ai porci ex-divi cinematografici di Hollywood, una volta conclusa la loro meritoria carriera nella patria della celluloide mondiale. L’importanza globale della disciplina fino allora sconosciuta in Italia, ma evidentemente interessante per le indubbie affinità con l’analoga realtà del suo mezzogiorno, fece sì che qualcuno gli proponesse l’incarico di insegnamento tanto agognato. In seguito a ciò, il buon Ivano presentò un certificato di laurea, falso naturalmente, con tanto di attestazione in inglese a caratteri gotici, si confezionò una bella pubblicazione su argomenti storico-agricoli e animali scopiazzati da una tesi di laurea depositata presso un archivio storico provinciale, scodinzolò per qualche mese presso una segreteria politica della sua città, ottenne un contributo economico dalla cassa di risparmio locale di cui era presidente proprio il suo neo-protettore politico, e dette alle stampe il capolavoro della sua vita: un saggio storico sulla diversità comportamentale in natura di bovini, ovini e suini transumanti rispettivamente nel Mezzogiorno d’America e d’Italia. Conseguentemente, gli fu conferito, poco tempo dopo, nella scuola media del suo quartiere, l’incarico speciale di docente a tempo pieno di quella disciplina così attuale. Incarico rinnovatogli annualmente e che riuscì a reggere per ben tre anni senza problemi. Fino a quando, alla domanda impertinente di uno studente di primo anno sulla diversità delle culture relative alle specie animali indicate nel suo insegnamento ufficiale, se ne uscì sbottando:— La coltura degli ovini si svolge nei recinti, quella dei bovini tra la terra concimata dal letame e, infine, quella dei suini tra le ghiande.Soddisfatto e felice di essersela cavata così brillantemente, il “professore” Divonati, originario di Sant’Antonio Abate, un piccolo comune dell’entroterra napoletano, tirò un sospiro di sollievo. In fondo, era consapevole di essere l’unico e massimo esperto nella regione di quella disciplina nuova e sconosciuta. Soprattutto per quanto riguardava i suini, la sua conoscenza non aveva rivali. Sapeva tutto di maiali, scrofe, porci e porcelli. Per lui tra il maiale e l’uomo non c’era differenza alcuna. Come l’uomo, il porco era simbolo della forza virile e della sessualità, anche se in ciò richiamava gli istinti deteriori dell’individuo, quelli bassi e impuri fortemente latenti nella corporeità


[1] Dottore, dottore.

[2] Finora.