“Orizzonti di Mezzanotte” di Ingenito 30° 9 agosto 2011, giorni -33

 Dal Capitolo 30 Sottobanco Ritornando verso il gozzo, Costabile non riuscì a frenare la propria curiosità. Pensava e ripensava al volto di quella donna così seducente, sforzandosi di ricordare. D’istinto, si portò la mano alla fronte. Una volta all’interno della barca, infilò il braccio sotto la botola di prua, muovendolo freneticamente in cerca di qualcosa. Ne estrasse un fumetto, uno dei tanti che, con il pretesto del sequestro educativo, sottraeva sistematicamente ai propri nipoti, per leggerseli di nascosto.  Eccolo, finalmente, il volto di quella donna. Il mistero era stato svelato. Sembrava lei, infatti. Anzi no. Era lei! Era proprio lei! Non somigliava più terribilmente a Valentina, la celebre eroina del fumetto di Crepàx. Era proprio lei, invece, Valentina. Rania era Valentina. Sì, Rania, l’eroina dei suoi sogni infiniti, dei suoi desideri, della sua libidine. Una donna di sogno in carne e ossa davanti a lui! Non poteva crederci. Stessi occhi, stesso sguardo, stessi capelli a caschetto. Rania era solo un falso nome o il nome d’arte, quindi. Quei sei dovevano essere artisti, con ogni probabilità artisti stranieri, visto che nessuno parlava italiano. Forse produttori, la coppia anziana, e attori, le altre due coppie. — «Artisti o non artisti» —  pensò Costabile, — «devono per forza appartenere al mondo del cinema, venuti per girare un film.» —— «E i soldi a quella gente non mancano mai!» — concluse intimamente il brav’uomo, al culmine della felicità. Attraccò il gozzo legando la poppa, rivolta al largo, ad una delle boe dell’albergo, e la prua ad un grosso anello di ferro arrugginito dal salmastro e fissato alla parete di cemento, proprio sotto la pedana ad uso bagnasciuga di quell’ospitale mostro di cemento, per quanto ingentilito da un disegno garbato ma appariscente, nel suo forzato richiamo architettonico in stile arabo–saraceno, troppo ambizioso e forte per essere davvero genuino. Poi tirò la fune per avvicinarsi alla scaletta e saltò giù. In mano teneva ben stretta una canottiera e un paio di sandali di gomma rimediati alla meglio sotto il cassetto della barca. La risospinse al largo e ingoiò di un fiato i cinque scalini, che immettevano sull’ampia e irregolare piattaforma piena di ombrelloni vuoti. La superò velocemente e si diresse verso il locale interno in muratura, raggiungendo l’ascensore al termine del piccolo tunnel. Schiacciò ansimante il pulsante con la lettera H per Hall e, una volta all’interno, indossò rapidamente la canottiera, infilandosi i sandali prima di uscire nella hall all’ultimo piano. Il personale addetto al ricevimento lo guardò perplesso. Quello era pur sempre un albergo a cinque stelle. Presentarsi in quelle condizioni era un affronto. Costabile non ci fece caso. Alla fin fine era lui a portare clienti. E poiché un albergo come quello era semivuoto in alta stagione, c’era poco da sottilizzare. Andò dritto dal direttore, un tipo alto dal volto asciutto e olivastro, ossuto e magro come una sardina. Era uno del luogo. Conosceva poco le lingue straniere, si arrabattava un po’ meglio solo con l’inglese. Non sorrideva mai, tranne che in rare occasioni. Il suo physique du rôle lasciava molto a desiderare. Nessuno capiva perché. Nel suo sguardo arcigno e triste insieme, in quel piglio non spontaneo, esasperato e fuori luogo, si raccoglieva una strana confusione. Più che altro, un’agitazione incontrollata e persistente, a testimonianza di una condizione interiore assai insolita e impenetrabile, poco adatta all’ambiente e al lavoro, ma meritevole di umana comprensione. Forse le cause, o la causa, erano altrove. Costabile era tra i pochi a saperlo. Pochi anni prima quell’uomo era stato piantato in asso dalla moglie. Di punto in bianco. Per lui fu uno shock tremendo. Una decisione che non si sarebbe mai aspettata da una persona così cheta e sensibile. Ma, soprattutto, un insulto al suo io dominante. Anche la figlia, appena diciottenne, si era aggregata alla madre. Senza esitazione, senza scomodare codici e cavilli legali. Con il passare degli anni, benché a fatica, l’uomo si era ripreso da quella terribile mazzata. Eppure, non era più quello di una volta. Decise, perciò, di riversare nel lavoro tutto se stesso, senza mai liberarsi, però, da quel dolore che rimestava continuamente, nel tormento e nella tristezza.  Gli effetti interiori erano devastanti, tradotti da un volto perseguitato da una condizione di indecifrabile allerta e da un’espressione quasi sempre scorbutica e solitaria. (…)