I giocattoli nella storia e nell’evoluzione di Alberto Mirabella

Mo’ se chiammano “giocattoli“. ‘Na vota se chiammavano “pazzielle”. …I giocattoli erano oggetti meravigliosi, costruiti con tanti materiali ora quasi tutti scomparsi e soppiantati dalla plastica. Era il legno a farla da padrone: di legnoerano i cavalli a dondolo, i birilli, i burattini. Poi c’era la latta con cui si costruivano animali meccanici e i mezzi di trasporto: treni, navi, automobili, camion, veicoli da lavoro, mezzi militari e aerei, dotati spesso di meccanismi con carica a molla o a vapore, o più tardi a batteria e a elettricità. Erano realizzati industrialmente con la latta cromolitografata, fatta colare in stampi di cui spesso i giocattoli portavano i segni nei punti di giunzione dei due stampi, con le sbavature del metallo in rilievo. Come si divertivano una volta i ragazzi? Come passavano il loro tempo libero? Come si svagavano?… Queste domande le pongono ai genitori e ai nonni i ragazzi d’oggi, perché loro passano la maggior parte del loro tempo libero davanti alla televisione o al computer oppure giocando con i videogames. Fino agli anni Sessanta, i giocattoli erano “artigianali”. Papà e nonni con pezzi di legno costruivano per figli e nipoti trottole, carrettini, monopattini che funzionavano alla perfezione. Le bambine avevano una sola bambola, a cui erano legate affettivamente; le nonne o le mamme provvedevano a realizzare, con avanzi di stoffa o di lana, abitini per tutte le stagioni. Questi erano i giocattoli individuali. Collettivamente maschi e femmine giocavano con i tappi a corona delle bottiglie, con le figurine, con sassi, con noccioli di pesche o biglie di terracotta o con fionde. Le bambine saltavano con la corda e giocavano con la palla, recitando brevi filastrocche che dovevano essere concluse senza che essa cadesse, pena di ricominciare daccapo. I ragazzini costruivano percorsi per giocare con le biglie di terracotta o (quando erano più fortunati) con le biglie di vetro colorate. Ci si divertiva molto all’aperto. Si giocava a nascondino; si disegnava per terra un rettangolo con tanti riquadri numerati e si giocava a “Mondo” con regole precise: non si dovevano calpestare le righe, occorreva lanciare un sassolino ogni volta in un riquadro più lontano e si doveva andare a riprenderlo, saltando su un piede. Ci si sfidava con una corda in gruppo: due giocatori la facevano girare e gli altri, a turno, saltavano. Vinceva chi resisteva di più. “Palla prigioniera”, “Palla avvelenata” erano spesso una divertente occasione di gara. I maschi preferivano giocare a pallone o lanciavano figurine o “scaie” contro il muro: vinceva chi vi arrivava il più vicino. La “storia” del giocattolo non è lineare, non ha uno svolgimento uniforme secondo una direzione e uno sviluppo semplici. In primo luogo non è lineare in se stessa, in relazione alla “cosa” giocattolo: gli oggetti permangono per millenni quasi invariati nei loro tratti essenziali (la bambola, la trottola) e solo la loro congiunzione con elementi speciali – strutturali o ornamentali (i materiali di costruzione, i colori, le acconciature, i vestiti…) – di volta in volta diversi consente di identificare una cultura, una nazione, un secolo, ovvero una “storia”. Oppure si dà il caso che gli oggetti nascano, diremmo, per inseminazione eterologa, per effetto cioè di influenze esterne alla storia del giocattolo (penso all’invasione della TV, al disco volante, ai videogiochi, e non solo). C’è poi il fatto che solo gli oggetti di valore sono conservati e fanno storia (la “congiura del silenzio” tocca la storia delle classi subalterne anche per i giocattoli dei bambini). In secondo luogo – ma, direi, soprattutto – non è lineare perché il giocattolo non è una “cosa” in sé formata e conclusa. È piuttosto l’indicatore di una funzione, o più esattamente il materializzarsi di una funzione umana: l’istanza del gioco. Che è, sì, originaria, innata, ma si modula in base a scelte e condizionamenti culturali, storici e ambientali. E in merito occorre citare il prof. Giuseppe Acone che nel sottolineare come “l’educazione è anche gioco” asserisce: «La pedagogia e la didattica che accentuano il momento ludico sanno, altresì, assai bene che l’educazione è anche gioco, nella misura in cui non è ridotta alla dimensione adultistica del gioco. Quest’ultima, essendo una forma di fuoriuscita dalla radicale pregnanza del gioco infantile, non è la dimensione intercettabile da una formazione adeguata alle polivalenti potenzialità umane. Insomma, vi è una prossimità – distanza tra dimensione infantile e dimensione adultistica della ludicità. Bisogna sempre evitare di scambiarle. Ed è evidente che molta pedagogia – didattica affidata ad un eccesso di

razionalizzazione scientifico-scientista, scambia l’una con l’altra. Si impone, insomma, un riconoscimento pieno proprio della qualità specifica della ludicità infantile. L’avvenire dell’educazione vuole che essa sia “filtrata” e non “negata”»E a proposito dei giocattoli rapportati al gioco Roberto Farnè sostiene: « Se esiste una cultura dell’infanzia connotabile in senso antropologico, questa ha nel gioco e nei giocattoli uno dei suoi linguaggi fondamentali, scientificamente descrivibili in senso diacronico e sincronico. Questo perché il gioco, nelle sue forme e nei suoi materiali, è l’esperienza su cui il bambino costruisce la propria identità, il suo campo di relazione». Giocare, giocare, giocare, immaginare e creare con la fantasia gli spazi dei sogni, le più segrete aspirazioni, i giocattoli hanno incarnato e possono ancora farlo, questi desideri. La “storia” del giocattolo si intreccia perciò con varie “storie”: l’evoluzione dell’idea di infanzia, la storia del costume, la differenza di genere, i diritti dei bambini, la civiltà dei consumi e delle comunicazioni di massa, la tecnologia, ecc. E qui bisogna osservare come il valore reale di un giocattolo non sta affatto nel suo costo, ma nella sua capacità di diventare prezioso agli occhi del bambino, che lo preferisce a tanti altri, lo conserva gelosamente e lo utilizza non sempre, ma di tanto in tanto e per un lungo tempo. Oggi bisogna inventare strategie pedagogiche per far conoscere il valore di certi giocattoli e per farli diventare “preziosi”. In questo senso è importante la diffusione delle ludoteche e il lavoro che esse svolgono per migliorare l’educazione al gioco nelle sue diverse espressioni e la conoscenza dei giocattoli in un contesto di conservazione e di socializzazione e non di mero consumo. E’ vero che i giocattoli hanno ormai conquistato una posizione importante nella vita del bambino, soprattutto a livello sociale e, se pure nessuno è disposto forse a ritenerli necessari alla stregua di ciò che mangia, dei libri di testo scolastici e dei vestiti che indossa, credo si possa dire che i giocattoli facciano parte del normale corredo di oggetti che i genitori si preoccupano di fornire ai propri figli. E’ importante sottolineare come questo sia un valore culturale di grande importanza e che segna profondamente la differenza rispetto a un passato pieno di carenze e di negligenze educative rispetto all’infanzia. Grazie ai giocattoli i bambini di oggi dispongono di opportunità straordinarie per l’esercizio ludico di abilità intellettive e fantastiche. Lo storico dell’infanzia Philippe Ariès ha scritto che «i bambini costituiscono le forze più conservatrici tra le società umane» in base alla constatazione che molti oggetti caduti in disuso nel mondo degli adulti, continuano a sopravvivere in quello dei bambini sotto forma dei giocattoli. Da un doppio punto di vista, pedagogico e antropologico, possiamo parlare dei giocattoli come di una “rappresentazione del mondo” rivolta all’infanzia. Una sua caratteristica, data soprattutto dall’alto grado di strutturazione dei suoi materiali, è che questo “mondo” tende a definirsi non in termini di un rispecchiamento debole di quello della realtà adulta, ma come iper-rispecchiamento, che si colloca cioè sopra le righe di questa realtà. Il bambino con il giocattolo trasforma il suo mondo. E in questa attività di trasformazione sviluppa, sin dall’inizio della sua vita, quelle capacità immaginative che gli permettono di attribuire significato alle cose attraverso i simboli: può allora trasformare una parte del suo corpo nel simbolo di uno strumento, come fa il

bambino della nostra società quando “spara”con la sua mano; o con un movimento opposto, che risponde tuttavia alla stessa logica, può trasformare uno straccio in bambola, o meglio ancora nella sua bambina .

Elenco alfabetico dei giocattoli ( ‘E Pazzièlle) e dei giochi del passato, talora con trascrizione dialettale sarnese.

Acchiaparella

Albero della cuccagna – palo ‘e

sapóne

Altalena

Aquilone – cuméta

Arco a frecce

Asino vola – ‘u ciuccio vola

Battimuro

Belle statuine

Birilli a bocce

Bolle di sapone – ‘mbólle ‘e sapóne

Bottoni

Braccio di ferro

Campana (gioco della settimana)- ‘a

semmàna

Caccia al tesoro

Calcio balilla

Carrettino – carritiéllo

Carriola

Cavallina salto della – ‘a mamma a

zompà ‘ncuollo

Cavallo a dondolo

Cerbottana

Cerchio

Cerchietti (gioco con il )

Chi tardi arriva male alloggia

Chi vuole giocare con me metta il

dito qua sotto

Ciclotappo

Corda

Corsa nei sacchi

Culla – ‘a connola

Dama

Domino

Fionda

Freccetta

Frùvulo pazzo

Gioco del pallone

Gioco dell’oca

Gioco con i noccioli (‘e nózzole )

della albicocche –termini

attinenti: ‘a strascia, castiélle

‘e nózzole)

Girandola

Girotondo

Guardie e ladri o birri e ladri

Guerra finta – a guerra finta

La guerra tra i rioni (sassaiola) – ‘a

pritiata

La spada

Lippa – mazza e pìvezo

Lunamonta

Monopattino

Morra

Mosca cieca

Nascondino

Palla a muro

Palla di stoffa – ‘a palla ‘e pezza o

‘e Zazà

Palla prigioniera

Quattro cantoni

Sassolini

Schiaffo – ‘o schiaffo

Stella

Telefono

Tiro alla fune

Tombola

Trottola con spago – ‘u strùmmolo

Un, due, tre…stella!

Uno monta la luna – Variante della

cavallina

Zompa zompetta

 Giocattoli antichi nei musei

Un po’ in tutta Italia, dalle Alpi alla Sicilia, sorgono musei in cui fare un tuffo

nei giocattoli del passato. Ortisei, nel Museo della Val Gardena c’è una sezione

particolare dedicata al giocattolo di legno. Grandate (Como) compie dieci anni il

bellissimo Museo del cavallo giocattolo. Angera, il Museo della bambola. Santo

Stefano Lodigiano il Museo del giocattolo e del bambino che in maggio aprirà una

sede anche a Cormano (Milano). Calenzano (Firenze), il Museo comunale del

figurino storico, ovvero soldatini di ogni epoca e di ogni tipo di materiale. Non

manca un bel museo a Zagarolo nelle vicinanze della capitale e, scendendo più a sud,

ne troviamo uno a Torre del Greco e uno a Bagheria, in provincia di Palermo,

E ancora musei a Catania, Bra, Verona… A noi viene in mente un’idea.

Perché non organizzare a scuola o in parrocchia una mostra di antichi giocattoli,

chiamando a raccolta i cimeli del passato delle vostre famiglie?

Museo del giocattolo povero – Musei – Montano Antilia – Salerno …