Salerno: ricordando Ciccio de Robbio, punta arbitrale nazionale

È passato un anno, un lungo anno dal giorno in cui il Commendator Francesco (Franco per la cara signora Ida, Ciccio per i parenti, colleghi ed amici, doverosamente e rispettosamente don Ciccio per conoscenti ed estimatori) de Robbio ha chiuso gli occhi per sempre, lasciandoci – nel nostro immaginario, nel fanciullino che alberga ben nascosto nel nostro animo, l’avevamo sempre reputato intramontabile, immortale – con un magone grosso così, più soli, con un velo di nostalgia, con un vuoto incolmabile, privi anche di preziosi aneddoti e di impagabili consigli, frutto di uno spaccato di vita vissuto con veemente intensità e di una saggezza briosa che aveva infine messo da parte la brillante, estrosa vivacità che, plasmandolo, l’aveva caratterizzato personaggio unico. Sommo maestro ed artista originale: un rettangolo verde il suo palcoscenico, un fischietto la bacchetta con cui dirigeva i ventidue in campo, un taccuino lo spartito, una giacchetta nera e pantaloncini neri, indossati con orgoglio e classe, il frac, una camicia bianca per gilè, calzettoni e scarpe bullonate nere le calze e le scarpe di gala, due colleghi – Pesce, lucano di Potenza, funzionario della Cassa per il Mezzogiorno, e Tommasino, siciliano di Palermo, sottufficiale dell’A.M., che alternava il calcio da guardalinee, ora si chiamano assistenti, e la pallacanestro da arbitro, ponendo sui campi dell’uno e sui parquet dell’altra passione, competenza e compostezza, unanimemente riconosciute – omogeneamente abbigliati, i soli orchestrali che, seguendo su lati opposti, lungo candide linee, le fasi del gioco, avevano, per strumenti, due bandierine – una ciascuno – che mimavano, mosse secondo segni convenzionali, le sette note. Sapeva – come pochi -interpretare la partita, a regola d’arte, anche a distanza e senza sbavature; “l’arbitro più bravo” – sosteneva convinto, con cognizione di causa – è quello che fischia meno”; e tutti, alla fine erano d’accordo. Arbitrò – è notorio – a S. Siro lo storico incontro di calcio Inter-Cagliari definito con sconfitta dell’Inter, 2-0 “a tavolino”, in quanto una moneta? da 100 lire (unico pezzo metallico trovato sull’erba) aveva colpito il sopracciglio sx. del capitano del Cagliari, Longo. Pochi sanno però che, nel corso del pomeriggio del martedì successivo, un giornalista del “Corriere dello Sport”, allora diretto dal leggendario Antonio Ghirelli, telefonò a casa de Robbio per sapere se don Ciccio era stato sentito e/o s’era recato dal dr. Barbè! Genny, il piccolo di casa, confermò. Ed il giorno dopo, il quotidiano sportivo titolò a caratteri cubitali “De Robbio da Barbè”. Notizia immediatamente smentita a tutti i livelli calcistico ed arbitrale: ma quale Barbè, che avete capito, Genny ha detto -papà è andato dal barbiere!-. Preferiamo non riportare i consequenziali commenti! Personaggio, il Commendatore de Robbio, d’altri tempi, d’altri modi e d’altra educazione: sapeva relazionarsi rispettando ed osservando con zelo le regole del buon vivere; veniva rispettato e, laddove necessario, era determinato nel farsi rispettare sia in campo che fuori. Ironico ed autoironico, avendone per tutti, non gli riusciva bene prendersi sul serio. Prendeva però sul serio ( in verità, non ha mai lesinato ad alcuno il suo intervento risolutore) ogni richiesta, qualcuna forse anche banale, avanzata da chi si trovava in difficoltà (come dimenticare i bollettini quotidiani sull’eruzione dell’Etna che un arbitro giornalista suo amico – con sommo rammarico, pur non rammentando il nome, intatte ed immense  rimangono gratitudine e riconoscenza – inviava con cadenza giornaliera da Catania per consentire a Carmelina di preparare la tesi di laurea in scienze naturali). Arguto, caustico, spumeggiante, frizzante, fine barzellettista, squisito intrattenitore, eccellente imitatore, di una simpatia travolgente e dalla personalità forte, spiccata: poteva contare su di un repertorio vasto ed aggiornato tale da duettare, negli spogliatoi dello stadio di S. Siro, con il mitico Gino Bramieri. E, a partire sia dal chiuso degli spogliatoi che dalla sua stanza dell’ufficio prima in Via dei Due Principati e poi al Torrione era tutto un crescendo di aneddoti, episodi, digressioni, fatti, storie: -Concetto Lo Bello preparava le partite cui era stato designato in un modo del tutto maniacale, appena ne veniva a conoscenza; non trascurava il minimo particolare; una volta, al Bernabeu,  nella finale di coppa dei campioni Real Madrid-Bayern Monaco, un giocatore bloccò in modo del tutto naturale – come  d’incanto – il pallone con le mani e, dopo averlo messo a terra, batté la punizione; Concetto che non aveva affatto fischiato il fallo, dopo uno sguardo d’intesa con me, lasciò continuare-. In una intervista riferì di apprezzare Paparesta jr. – figlio d’arte, è vero ma soltanto per il suo modo di essere arbitro; il padre, Romeo, mio collegadei bei tempi, mi ha telefonato per ringraziarmi; erano anni che non ci sentivamo”. Promosse in ufficio un’azione di protesta – si propagò per tutte le sedi d’Italia – contro una sigla sindacale guidata da un noto personaggio di Torchiara che si incavolò molto adombrando congiure, chiedendo e cercando di individuare chi mai si celasse dietro un finanziatore occulto? O piuttosto una cellula extraparlamentare? O dietro l’onda di protesta. Una volta alla stazione ferroviaria di Milano aveva fissato appuntamento, dopo reiterate insistenze, con una sua ex dirigente tanto colta quanto racchia. Al fine di evitare gli immancabili sfottò da parte del folto gruppo di arbitri e guardalinee con cui aveva viaggiato, cercò di anticipare tutti allontanandosi dal treno alla chetichella. Fu rintracciato e subito volò un <”a Cià, dovevi venì a Milano per trovà sta bagascia?> che era l’epiteto più soft. Terminiamo qui il riverente ed affettuoso omaggio alla memoria di un uomo straordinario, di rare virtù, del campione per eccellenza che abbiamo voluto richiamare alla memoria e tener viva e presente la sua figura per far sì che non si spenga ma resti sempre accesa la fiammella del ricordo. L’abbiamo fatto alla sua maniera, con la sana, sincera e genuina arguzia che abbiamo appreso dai suoi incommensurabili  insegnamenti.   

Paolo Pozzuoli