Ambrosoli-Vassalli Via-Andreotti

Michele Ingenito

Il grande gobbo della politica italiana, tal Giulio Andreotti, rispunta alla grande e mette in scena un finale degno da primo attore di quella realtà. Almeno per una serata. Quella che l’ha visto, a suo modo, protagonista della trasmissione di un grande giornalista e comunicatore: Giovanni Minoli, conduttore de La storia siamo noi, programma TV del secondo canale RAI. Giovedì mattina i grandi quotidiani avevano anticipato la botta di un rinato Giulio, dopo mesi di assenza dalla scena: “Ambrosoli se l’è cercata.”, alluse con cinico realismo all’assassinio dell’ex-curatore fallimentare della Banca d’Italia, freddato brutalmente nel lontano 1979 nei pressi di casa a Milano su ordine del fu Michele Sindona, bancarottiere e filibustiere della politica finanziaria italiana e, in parte, americana degli anni ‘70. Apriti cielo. Già prima che la puntata di Minoli andasse in onda in tarda serata, i commenti non si erano fatti attendere. Tutti negativi, ovviamente, nei confronti del 7 volte ex-primo ministro. Conseguente la smentita. Sempre prima della trasmissione. “La mia dichiarazione è stata fraintesa” – avrebbe dichiarato o fatto dichiarare, parola più parola meno, il satanico Giulio. C’era da aspettarselo. E da credergli. Come avrebbe potuto “il Presidente” lasciare intendere una cosa che, alla lettera, equivaleva più o meno a dire: “Si fosse preoccupato dei fatti propri, l’ostinato Ambrosoli non ci avrebbe rimesso le penne!” Alla faccia dei cosiddetti “servitori dello stato” tutti di un pezzo, diremmo noi. Non poteva essere, già non poteva essere. E, invece, non ci siamo persi niente di quella puntata. E, quindi, del gran finale. Che, detto in lingua italiana, suonava e suona esattamente come i quotidiani nazionali l’avevano sintetizzata al mattino, benché fuori contesto. Perché il contesto che ha preceduto la indegna battuta andava nella direzione della sua atroce, ancorché cinica, conclusione. Ambrosoli se l’era cercata. Punto e basta. Il divo Giulio dei tempi che furono non ha avuto peli sulla lingua. Ha sibilato con ineffabile crudeltà una verità assoluta. Servire lo stato era, ieri, come oggi, pericoloso. Bisogna sempre fermarsi quando c’è di mezzo l’affare, il compromesso di stato, gli interessi innominabili dei super colletti bianchi. Che sono dappertutto, nessuno si faccia illusioni. Perfino, talvolta, nei ranghi impensabili di certa magistratura deviata. O, forse, sarebbe meglio dire di certi (per fortuna pochissimi) magistrati corrotti. Nella loro testa di scavezzacolli umanamente immaturi, prima che nelle conseguenti azioni da arditi di periferia. Per la confusione dei loro pensieri e convincimenti prima che per le decisioni e i comportamenti assunti. Purtroppo, le pecore zoppe belano sempre più forte rispetto a quelle veramente miti che amano lavorare e produrre nell’autonomia e nel silenzio. Ecco cosa accadde in quei lontani anni ’70 al povero Ambrosoli. Non aveva capito che astenersi dall’incedere a passo pesante contro la corazzata Sindona e soci sarebbe stata la sua salvezza. Tanto la faccia sporca gliela avrebbero giustificata moglie e i figli. E, invece, no. L’eroico idealista dei tempi che furono andò avanti. E morì. Per fare il proprio dovere, per un paese che non lo meritava. Come è morto nei giorni scorsi il povero Vassallo, sindaco di Acciaroli. Mafia dei colletti bianchi per Ambrosoli, mafia e basta per Vassallo. Il piombo non ha nome, ma uguale peso e capacità di perforazione. Dei corpi, non delle idee. Il vescovo di Vallo della Lucania ha avuto un bel fegato. Non poteva fare di più un povero vecchio, ma troppo giovane per idee e coraggio. I suoi macigni sono stati scagliati con indomita virulenza contro un nemico invisibile e forse presente. Le mani degli assassini sono fredde perché freddi e spietati sono gli interessi che le armano.“Nulla di personale” direbbe il mandante di turno. Un ostacolo è un ostacolo e va rimosso. Con le buone o con le cattive. Non c’è carabiniere che tenga. Perché il sistema è il sistema. Legittimo o illegittimo che sia. O dentro o fuori. Vassallo ha provato a fare la voce grossa dentro il sistema al quale legittimamente apparteneva. Ed ha perso. Non l’hanno ascoltato, forse hanno avuto paura. E l’hanno abbandonato. Perché, alla fine, vincono sempre loro. Ci provi qualcuno a tirare in ballo le responsabilità dopo la grande, commovente manifestazione dovuta al piccolo grande sindaco di Acciaroli. Le emozioni si caricano a caldo: nella tragedia, nelle rievocazioni commosse e autentiche, nella sofferenza e nel dolore condiviso dalle folle. Per poi disperdersi come coloro che hanno adempiuto al rito e tornano mestamente verso casa. Restano le speranze, gli sforzi di coloro che sono preposti a fare giustizia. Nel silenzio, nella riflessione, nel lavoro duro e costante dei veri magistrati e dei veri inquirenti. Per dare una qualche dignità, più che a se stessi, a coloro che avrebbero dovuto ascoltare e agire prima, a quel sistema che vivacchia nel quotidiano, sperando che, prima o poi, certi rompiscatole della vita pubblica la smettano di rompere. Esattamente come ricordava il gobbo impenitente, felicemente giunto, per questo, sano e salvo, alla soglia dei novanta anni: “Chi glielo ha fatto fare!”