Il carciofo, apprezzato come ortaggio e con proprietà “miracolose”

Anna Maria Noia

Il carciofo, altrimenti detto Cynara scolymus e facente parte delle composite, è molto simile al carduccino delle regioni mediterranee, del quale sarebbe una varietà non spinosa. Ortaggio una volta molto raro, oggi è largamente coltivato specialmente nelle regioni a clima invernale temperato. Apprezzato nel XVI secolo come diuretico e come afrodisiaco, fu usato nel XVII secolo come rimedio specifico contro l’itterizia. La sua efficacia terapeutica è stata meglio valutata all’inizio del XX secolo, quando ci si è resi conto del suo valore nella cura delle affezioni epato-biliari; è stata messa a punto anche una cura: la cynaroterapia, basata sul carciofo. La parte edule, cioè mangereccia, della pianta è il fiore, un capolino dalle grandi dimensioni di cui si consumano, cotti o crudi, il ricettacolo carnoso e le brattee, chiamate impropriamente foglie, le quali lo circondano. Le foglie sono grandi e incise, sono attaccate al fusto e vengono usate in medicina perché sono più ricche di proprietà curative, mentre il fiore crudo possiede in misura ridotta le medesime proprietà.Anche il fusto, la parte più tenera – di circa dieci cm al di sotto del fiore – è commestibile. Il carciofo è indicato anche nella dieta per i diabetici. È bene sapere che esso è tanto più digeribile quanto meno a lungo è stato cotto.Occorre ricordare che una volta cotto deve essere consumato subito, poiché si altera rapidamente sviluppando tossine. È sconsigliato alle donne che allattano. L’infuso di carciofo, preparato con le foglie e di sapore molto amaro, elimina il colesterolo “cattivo” dal sangue e ha un effetto benefico sul sistema cardiocircolatorio. Ha proprietà antidiarroiche, collageno-coleretiche, depurative, diuretiche, ipoglicemizzanti, toniche per cui viene consigliato per la cura dell’arteriosclerosi ma anche della cellulite, del colesterolo, del diabete, del fegato, della gotta, dell’obesità, per eliminare l’urea. Alla corte di Luigi XIII in Francia non era possibile pensare a un vero pranzo se non venisse inclusa una portata a base di cynara scolymus. (appunto il carciofo).Pianta erbacea perenne, dal fusto eretto, con frutto (fiore) composto da squame carnose (brattee) che possono presentare spine alla sommità oppure esserne sprovviste, il carciofo predilige clima caldo, non inferiore ai 6 gradi centigradi; il terreno deve essere non troppo profondo e ricco di sostanze organiche. La moltiplicazione si effettua per mezzo di “carducci”, che sono i germogli delle piante adulte; la piantagione si esegue in autunno ponendo gli stessi carducci ad una distanza di un metro l’un dall’altro, ad una profondità di circa 50 cm. Le varietà di carciofo più note sono: quello di Venezia, con squame di colore viola cupo; il rotondo di Roma, compatto e senza spine; di Toscana, con capolino piccolo di colore violetto; il “francesino”, piccolo e oblungo di colore verde intenso; il “primitivo di Puglia”, oblungo e spinoso verde con striature viola; di Napoli, con capolino molto grosso e a palla di colore verde e le brattee in cima rosa carne. Il carciofo, pianta tutto fiore (infruttescenza), è originario del bacino mediterraneo ed ha accompagnato il cammino dell’uomo dal 4000 a.C. circa. Il fiore più strano di tutto il regno vegetale, dalle preziose doti depurative, benefico per il fegato e per il sangue, ha avuto il titolo di “pianta della salute”, entrando a far parte dell’ambito della farmacopea per le molte e straordinarie utilizzazioni da oltre tremila anni. L’utilizzo diffuso per tutti del carciofo in cucina si verifica solo alla fine del XVIII secolo anche se vari tentativi di diffonderne l’uso erano stati attuati fin dal XV secolo in tutte le corti europee: nel XVI secolo Caterina dei Medici né incominciò e incoraggiò il consumo alla corte di Francia, facendolo cucinare da cuochi condotti da Firenze. Il carciofo, utilizzato solo a scopo medicinale, era consumato dal popolo partenopeo, romano ma soprattutto da quello ebreo. Grandi consumatori erano i pastori, che lo mangiavano specialmente crudo col formaggio e sulla brace; i napoletani e in particolare i nativi della media e alta Valle del Sarno li preferivano arrostiti dopo averli riempiti di una marinata di aglio, prezzemolo, olio, sale e pepe, mentre il fumo acre e profumato inondava e inonda ancora – durante il periodo pasquale (soprattutto nella zona di Mercato S. Severino, del Montorese e dei comprensori salernitano e avellinese) – tutte le contrade da Nocera a Montoro lungo la Solofrana, affluente del Sarno. Il grande medico della classicità Galeno, ben due secoli prima di Cristo, vantava i poteri di questo grosso bocciolo come diuretico e “balsamo per il fegato” consigliando di mangiarlo crudo. Anche i naturalisti latini nei loro scritti si dilungavano a spiegare i vari metodi d’uso del carciofo, dando anche validi consigli per la sua coltivazione. Seguendo i consigli degli “antichi dottori” greci e romani le più note scuole mediche italiane del Medioevo e in particolare la nostra Scuola Medica Salernitana non dimenticarono di includere tra i rimedi tipici le pozioni, gli elisir, i filtri, le bevande (le lozioni), gli impiastri ottenuti col carciofo, che avevano il potere di suscitare la passione anche “nelle anime più restie”. L’utilizzazione più “strana” di questo ortaggio è (era) il metodo empirico per accertare se una donna fosse incinta, un test che precorre di quattro secoli l’accertamento “casalingo” della gravidanza femminile: “Per conoscere se una donna è gravida basta farle bere un bicchiere di succo di foglie di carciofo, se il suo stomaco rifiuterà la bevanda vorrà dire che ella è sicuramente gravida” – si legge nell’Erbario veneziano di Durante Castoro del 1602. La scoperta della preziosa “cinarina” ci fa apprezzare maggiormente il carciofo per la provvida azione di “coleresi”, cioè della secrezione biliare, favorendo le funzioni del fegato e dei reni, mentre produce un’azione calmante contro lo stress, il “logorio della vita moderna” – così in una pubblicità del famoso programma televisivo “Carosello” riguardante un amaro a base di questo ortaggio. L’ultima novità dell’uso del carciofo per accrescere le “grazie naturali” è di tramutarsi in maschera di bellezza usata come crema. Tale crema-impacco rigenerante si prepara così, con: “Un bel carciofo fresco, eliminate le foglie esterne dure, conservandone solo il cuore. Frullare la parte tenera e biancastra fino e ridurla in una pappetta; aggiungere due o tre cucchiaini di yogurt magro e mescolare il tutto con cura in modo da rendere l’impasto omogeneo. Passare un po’ del composto sul viso, preventivamente pulito del trucco e lavato, massaggiando per qualche minuto, e lasciare sulla pelle per una ventina di minuti. Quindi si provvederà ad un’accurata pulizia anche con latte detergente, operazione da ripetere due volte alla settimana per un mese.”