Dal dialetto all’Itagliano

Salvatore Ganci

E’ questo il titolo di un interessante articolo di Edoardo Sanguineti, pubblicato nella prima pagina de “Il Secolo XIX” di sabato 10 aprile 2010 e che l’Autore, Docente presso l’Ateneo Genovese, Critico e Letterato che compare già da vivente in qualche antologia per i Licei, ha per me tutte le “qualifiche” per farsi leggere e leggere con attenzione. Qualcuno mi dirà che anche Vasco Rossi compare in qualche antologia liceale e che il mio criterio è debole. Pazienza, la mia “debolezza” ha in questo caso la buona conoscenza di Vasco Rossi e una minore conoscenza di Edoardo Sanguineti, … il che titilla la mia curiosità. L’articolo di Edoardo Sanguineti nasce come prosieguo di un intervento di Gian Luigi Beccaria sulla “Stampa” del 27 marzo dal titolo “L’Italiano in gabbia”. Motivo, è scontato, il convenzionale anniversario dei 150 anni di unità d’Italia (unità considerata spesso “contestata”). In buona sostanza, in un periodo in cui si parla di “devoluzione” (termine più delicato e meno shockante  di “secessione”), Beccaria (junior!) trova che ancor oggi tantissimi italiani quanto alla lingua sentono di appartenere più alla “piccola” che alla “grande patria”. E ne vengono date alcune ragioni storiche che, a mio avviso, non fanno una grinza, perché la nostra è una storia che si è attardata prima con le piccole “patrie locali” imposte dal fatto che l’Italia è stata terra di conquista, ma anche indotte dall’asperità del territorio italiano, ben diverse ad esempio da quelle della Francia dove, egualmente, in nessun luogo si parla il “Francese” che si sente a Ginevra, in Svizzera, ma dove l’orgoglio dell’unità linguistica è ben vivo (saranno state un po’ di teste mozzate?). Non essendo uno specialista ma solo una persona curiosa ed osservatrice, vorrei che il Lettore riflettesse come su qualunque sito francese non è mai usato il termine “computer” (come da noi) ma il termine “ordinateur” e se scrivo a un webmaster in Inglese, la risposta la ricevo in Francese.  Rifletto sulle parole di Edoardo Sanguineti: “noi viviamo nell’età di un “Italiano regionale”, a differenza della Francia che ha un suo “orgoglio linguistico” (e dove pure il Francese di Bordeaux è ben diverso da quello di Parigi). Il nostro Autore, già all’inizio dell’articolo perviene (amaramente) al concetto che “sembra di rifare l’unità d’Italia”. Ma era opportuna l’unità? Se ripenso all’espressione dell’onorevole Calderoli, la risposta viene da sé e d’altra parte fu saggio colui che disse “fatta l’Italia ora dobbiamo fare gli Italiani”… Chi accende la televisione si accorge che l’unico Italiano (più o meno) corretto è quello del doppiaggio dei film (americani per il 90%) mentre quasi tutto il resto riflette la provenienza regionale. Se andiamo poi alla miriade di “Reality” la “spontaneità” non solo richiede l’italdialetto ma persino neologismi dialettali introdotti ad “hoc”. Non parliamo dello “stress” con cui la RAI sceglie personaggi di Roma per abituare sottobanco che non esiste la “c” di “cena” ma la “c” di “scena”. Se poi si aggiunge l’insistenza della Lega di volere introdurre il “Dialetto” nelle scuole, la Liguria grosso modo si salva non essendoci variazioni “percepibili” dal foresto medio tra il Genovese (di città) e il Cicagnino. Eppure, anche qui uno Studioso di Linguistica compie studi raffinati sulle strutture sintattiche del Cicagnino …. come esistono gruppi di studio di “Dialettologia” che impegnano non poco la destinazione dei fondi per la Ricerca.  Ma se penso al dialetto lombardo, che mi dice l’onorevole Calderoli? Introdurremo il dialetto di Bergamo, o il dialetto di Pontevico? E il Milanese (così gradevole nell’opera di Carlo Porta) dove lo mettiamo?  Essendo la Lingua anche un fatto di egemonia, chi la spunterà. Tra i 100 litiganti il 101-esimo gode e il 101- esimo pare essere proprio l’americano (folk) visto che il “Corrierone” del 10 marzo conclama che il nostro uso delle parole inglesi è cresciuto del 773 %. Nessuno ha tuonato poi più di tanto per l’esclusione della Lingua Italiana dall’Europa (Corrierone del 20 marzo). La realtà, secondo la mia visione di osservatore asettico che subisce Chuck Norris, il modello di una società texana violenta alla quale tendiamo sempre di più, McDonald’s come primo simbolo che appare fuori dalla stazione di Pisa, che cosa puoi aspettarti ancora dalla vita? Forse il telegiornale in dialetto con sottotitoli in Italiese? Come vede, Professor Sanguineti lei è ottimista a vedere ancora l’Itagliano, io vedo sempre di più l’Italiese … a meno della “devoluzione” resa operativa.

 

2 pensieri su “Dal dialetto all’Itagliano

  1. Caro Salvatore, come hai ben notato e spiegato, la “questione della lingua” (come quella meridionale e, ahimé, quella vaticana)nel “bel paese là dove il sì sona” è ancora una questione aperta. Intendiamoci: la presenza e la vitalità dei dialetti è una ricchezza, non certo una miseria; come è una ricchezza la rigogliosa letteratura dialettale che caratterizza le nostre culture regionali. Tu hai citato il milanese Carlo Porta; si potrebbero ricordare autori come il veneto Noventa, il triestino Marin, il friulano Pasolini, il genovese Firpo, i romani Belli e Trilussa, i napoletani Di Giacomo, De Filippo e Totò (delizioso anche come poeta), il siciliano Buttitta…..Certo sono tutti poeti di “piccole patrie” ma sono entrati a pieno titolo nella storia letteraria nazionale (quindi anche nelle antologie in uso nelle scuole). Ecco, se la passione per il dialetto professato dalla Lega non fosse strumentale, accanto allo studio del Porta proporrebbero anche quello del Belli e di Ignazio Buttitta. Ma li avranno mai letti? In attesa di passare all’inglese, un caro saluto in lingua “volgare”.

  2. Grazie del commento e scusa se ho “invaso” l’ambito letterario. Come ogni problema riguardante l’uomo, per certi aspetti il problema è mal posto (ill posed problem). La Lega usa il dialetto come strumento di divisione e non di cultura. E’ amaro, ma visto il malcostume e la perenne richiesta di intervento dello stato nel sud che non sa rimboccarsi le maniche, riesco persino a comprendere le motivazioni leghiste. Ma sopra a tutto dominerà l’Inglese, specie per tutti coloro che si dedicano allo studio e alla ricerca. Senza polemica alcuna: esiste una rivista scientifica o umanistica decente e non “mafiosa” in Italia? Io è dal 2005 che ho smesso di inviare articoli a riviste nazionali e potrei fartialtri nomi di colleghi che hanno seguito il mio esempio…
    Mi sforzo pertanto di non disimparare l’itagliano, coltivando di più l’italiese …
    Cordialità
    Salvatore

I commenti sono chiusi.