Una nuova costituzione


Angelo Cennamo
La crisi economica, la corruzione, la malagiustizia e la malasanità, i conflitti di interessi, gli sprechi della pubblica amministrazione, la crescita lenta del pil, su un fatto sono tutti d’accordo, maggioranza ed opposizione : l’Italia ha bisogno di riforme. La classe politica, non da ieri, ma dal dopoguerra ad oggi, non ha dato grandi saggi di riformismo, questo per una serie di ragioni, non ultime l’esasperata litigiosità tra i partiti e i condizionamenti delle gerarchie ecclesiastiche. Cinquanta governi in altrettanti anni, bicamerali naufragate nei veti delle solite oligarchie, e qualche buona legge affossata da referendum ideologizzati e ridicolizzati dalla falsa propaganda. Nel frattempo il Paese ha perso competitività, accresciuto il suo debito pubblico e imprigionato la meritocrazia nella mai libera concorrenza dei suoi mercati. Occorre invertire la rotta, e subito. C’è tanto da fare e da rifare, le priorità abbondano. Da dove cominciare? Dalle istituzioni, e quindi dalla costituzione. La nostra magna charta, checchè ne dicano i custodi del sacro totem, del santo gral, perennemente intangibile e venerabile, è vecchia, obsoleta ed ammuffita. Urge un restyling corposo, un ammodernamento funzionale alle dinamiche della società contemporanea, che risponda alle esigenze del nuovo vivere civile. La nostra costituzione ha più di sessant’anni, è nata nel 1947, a cavallo tra due fasi storiche diversissime. Quella costituzione doveva, per forza di cose, rappresentare una società che seppelliva le macerie della sanguinosa occupazione nazifascista aprendosi al futuro della ricostruzione. Nacque dal compromesso tra le due principali ideologie del tempo : il cattolicesimo ed il marxismo, entrambe tramontate per effetto della secolarizzazione e della caduta del comunismo. L’humus culturale di quella legge oggi non c’è più. La nostra è una società laica e liberale, per giunta fortemente individualista. Un simile agglomerato umano non può più obbedire a principi e valori lontani nel tempo e superati da nuovi impianti culturali. Che senso ha parlare oggi di “Repubblica fondata sul lavoro”? Non sarebbe più giusto ed adeguato ai tempi stabilire che la nostra Repubblica è fondata sul rispetto delle libertà individuali? La proprietà privata, nello statuto albertino del 1848, era considerata “sacra ed inviolabile”, quasi due secoli dopo deve assolvere ad una “funzione sociale”. Per non dire del guazzabuglio del titolo V o dell’anticaglia normativa sulla magistratura, con le cavillose competenze degli enti locali e la rigide procedure della giurisdizione. Insomma, il panorama legislativo tramandatoci dai padri costituenti è davvero desolante, ma l’idea di intervenire con provvedimenti isolati, senza una strategia sistematica oltre che condivisa, rappresenta un rimedio peggiore del male. Serve lungimiranza e tanto coraggio, quello di sfidare l’ignoto e di mettere in discussione i propri privilegi, qualità rare nei palazzi della politica.