Quel giorno con il futuro Santo di Pietrelcina

   Antonio Pirpan

 Mi affascina sempre il modo in cui la memoria dilata un ricordo. Eravamo partiti da Salerno in una notte senza luna, Gennaio di anni lontani, diretti da Padre Pio, il frate con le Stimmate, oggi San Pio da Pietrelcina, a bordo di una vecchia e zoppicante “Millecento”, piena di spifferi e di acciacchi. Tra buche scossoni, il ragioniere Alfredo, compagno di viaggio e di lavoro, cercava, senza riuscirci, di distrarmi con battute diversive. Finalmente, arrivammo. Un’aria di gelo stringeva da tutte le parti. All’orizzonte, “là fuori, verso la Foresta Umbra”, indicai ad Alfredo, un filo bianco cominciava a distinguersi, segno che l’alba era vicina: Colsi una smorfia sul volto dell’amico e spiegai: “Umbra vuol dire umbratile, ombreggiata, foresta per eccellenza”. Ah, ah! Ci accodammo alla fila di pellegrini assonnati, sembrava una scena da purgatorio, e procedemmo a passo lento e uguale, lungo il pendio, fino allo spiazzale della chiesa di Santa Maria delle Grazie, a San Giovanni Rotondo. Sul lato destro del santuario, un fraticello scalzo e infreddolito ci accompagnò all’ufficio delle confessioni, dove ci prenotammo. La regola voleva così. Poi, attraverso corridoi stretti e scarsamente illuminati, passando davanti alla cella del futuro “Santo”, dove c’era lo stretto necessario per dormire e per pregare, arrivammo in chiesa, avvolti in una nuvola d’incenso e di odori di varia umanità. Sull’altare centrale crepitavano candele colorate, senza fumo. La scia dei “peccatori” era lunga e ci volle un’ora buona prima che arrivasse il mio turno. Nel confessionale, una specie di parlatorio senza grata e senza tendine, vidi gli occhi ardenti di Padre Pio, appena illuminati dalla luce malinconica di un cero, e sentii la sua voce che impartiva l’ordine di inginocchiarmi. Obbedii. “Da dove vieni”, chiese quasi infastidito. “Da Salerno, Padre”. “Non la conosco”, tagliò corto. “Reverendo Padre, è da un bel po’ che…”. E prima che finissi la frase, mi interruppe. “Lo so che non ti confessi da molto tempo. Parla.”Un brivido gelido mi attraversò la schiena con la furia di un tornado. Non sapendo cosa fare, d’istinto, Gli strinsi le mani, che Lui subito ritrasse con una smorfia di dolore. Rimase a lungo in silenzio, mentre io balbettavo peccatucci di gioventù. A un certo punto si spazientì e, con tono brusco, disse: “Ti assolvo, ma niente bestemmie, e va a messa più spesso”. Pausa. “E mò vavattenne”. Era fatto così, quel “burbero” prediletto del Signore.  Stringendo quelle mani scarne e sanguinanti, protette da mezzi guanti di colore nero, per un  attimo, ma anche di più, fu come sentire la Sua stessa sofferenza. Suggestione, o un alito di Grazia? Chissà! Di una cosa sono certo, che dai “piani alti” del Cielo, San Pio di Pietrelcina mi ha già perdonato.