Lo smantellamento del servizio pubblico: la stagione delle privatizzazioni a quasi dieci anni dall’esordio sulla scena italiana

Dopo il positivo riscontro di lettura del mio precedente intervento, propongo ai lettori di “Dentro Salerno” un’altra riflessione che credo riscuoterà il loro interesse, ossia le privatizzazioni. Questo processo economico che sposta la proprietà di un Ente Statale ad un soggetto privato, vede coinvolte nel tempo, a partire dal 1992, molti Enti dello Stato:  Telecom, INA, IMI, ENEL, SME Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, mentre una quota minore effettuata dal gruppo IRI, vede coinvolte Banca Commerciale, Credito Italiano, ILVA, Nuovo Pignone, e Società Autostrade, e infine dall’ENI: Enichem e Agip Petroli. Tutto questo avviene all’insegna del principio di un miglior funzionamento dei servizi e ciò non può che far piacere al cittadino, almeno fino a quando non dovrà scontrarsi con un apparato che ancora più burocratizzato di quello statale, pone un muro di segreterie telefoniche, musichette e operatori on line poco efficienti, tra l’utente e l’effettivo servizio, di cui quest’ultimo avrebbe diritto non solo perché ne paga le bollette, ma anche perché continua a pagare una considerevole quota di tasse ad uno Stato, che oramai diminuisce sempre di più la sua erogazione diretta di servizi. Se privatizzare nelle intenzioni del legislatore voleva essere un modo per  velocizzare i servizi e far si che gli stessi potessero dare il meglio, perché immessi su un mercato dove si doveva far fronte alla concorrenza, l’operazione non è riuscita, in quanto si è delineato un groviglio di reti, dove tra appalti e sub appalti, si rischia di rimanere irrimediabilmente imbrigliati. Ma il rischio privatizzazioni non è solo quello di una mancata ottimizzazione dei servizi, ma una reale possibilità di arrivare a rendere privati anche quelli che dovrebbero essere dei veri diritti, ci riferiamo alla futura privatizzazione dell’acqua e alla proposta di rendere privata la Protezione Civile ( notizia dell’11 gennaio u.s.). Il significato di tali decisioni e proposte è palese, in quanto in tal caso l’acqua non è intesa come diritto universale, indivisibile ed inalienabile per l’umanità, bensì solo come un bene economico (per i privati che lo gestiranno avrà, infatti, un giro d’affari di 2.500 milioni di euro l’anno) dando, così, poca importanza al fatto che è un beneficio essenziale per la vita umana, lontano da qualsiasi logica di profitto. Stessa sorte, a seconda di ciò che è stato proposto, potrebbe subire un altro importante servizio pubblico, che fino ad adesso ha salvato tante vite umane e tanto ha concretamente fatto per alleviare le nostre popolazioni colpite da catastrofi naturali, la Protezione Civile, anche qui mettendo al centro la logica del profitto e di una riduzione di spese da parte dello Stato, invece che la vita umana delle persone. Da cittadini non possiamo fare altro che sperare che le autonomie regionali,  possano essere più sensibili e pensare un po’ di più alle persone e meno agli interessi di bilancio, perché per dirla con Richard Stallman:  Se i cinici ridicolizzeranno la libertà e la comunità… se i “realisti più intransigenti” diranno che il profitto è l’unico ideale possibile… ignorateli e continuate ad utilizzare il vostro buon senso.

 Lucia de Cristofaro

Direttore Albatros magazine

 

 

 

Un pensiero su “Lo smantellamento del servizio pubblico: la stagione delle privatizzazioni a quasi dieci anni dall’esordio sulla scena italiana

  1. nell’anno dell’attribuzione del nobel ad Elnor Ostrom e in un paese, l’italia, che ha inventato, nel diritto canonico, il concetto di sussidiarietà, lucia de cristofano ci pone un problema, a mio parere, in maniera sbagliata. il dilemma se le risorse, beni, collettivi debbano essere privati o pubblici è limitato e sbagliato perchè, apparentemente, esclude ogni altra possibilità gestionale. anche se di inclinazione meglio pubblico che privato, va riconosciuto che la possibilità di organizzarsi (più correttamente autoorganizzarsi) su scala più locale con delle proprie regole in moltissimi casi funziona, ha funzionato e probabilmente funzionerebbe da tute le parti, in maniera efficiente, preservando e salvaguardando la risorsa. il tutto sta nella capacità delle comunità di darsi delle regole, rispettarle e farle rispettare. dove queste cose succedono non vi è da una parte il rischio che il privato distrugga è gestisca la risorsa al solo fine di avere, massimizzare, il profitto e dall’altra l’ossessione è il costo di far rispettare delle regole imposte dallo stato o dal pubblico in generale. sviluppando questa “terza via” si ha il vantaggio di far crescere anche la comunità e a differenza di tutte le obiezioni che vengono fatte vi sono realtà, nel mondo, dov tutto funzione molto bene e per di più la gente è contenta. immaginate quale rivoluzione un approccio di questo tipo potrebbe rappresentare per le comunità meridionali? quale lliberazione per popolazioni oppresse dal nepotismo, familismo e favoritismo. perchè ciò deve essere negato?

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