Salerno: Laus Concentus nell’Africane Selve

Lunedì 4 gennaio, nel Complesso Monumentale di Santa Sofia, alle ore 20,30, ritorna l’Associazione Koinè, presieduta dal medico e clavicembalista Gianvito Amoroso, con il suo Festival di Musica Antica, organizzato da Carmine Mottola, giunto alla sua XXII edizione. Il cartellone, realizzato con il sostegno della Provincia di Salerno e nello specifico dell’Assessorato per le Pari Opportunità di Anna Ferrazzano, dell’Amministrazione comunale, e della Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana, è dedicato interamente a Georg Friedrich Haendel. Continuano gli incontri di Haendel con i suoi contemporanei e per il terzo appuntamento, affidato al Laus Concentus che presenterà il basso Riccardo Ristori, accompagnato da Maurizio Less alla viola da gamba, Maurizio Piantelli alla tiorba e Danilo Costantini al clavicembalo, seguiremo il genio di Halle nel suo grand tour in Italia, con uno sguardo particolare al duel con Domenico Scarlatti.“È giunto in questa città un Sassone eccellente suonatore di cembalo e compositore di musica, il quale oggi ha fatto gran pompa della sua virtù in sonare l’organo nella Chiesa S. Giovanni con stupore di tutti”, così annotava Francesco Valesio, sul suo Diario di Roma, il 14 gennaio 1707. Händel aveva allora 22 anni ed era giunto in Italia l’anno prima – nell’agosto del 1706 – proveniente da Amburgo. E proprio in questa città – dopo l’incontro con Gian Gastone de’ Medici, figlio del granduca di Toscana – era maturata la decisione di tale viaggio, con l’obiettivo di approfondire la sua arte musicale direttamente “sul campo”. Dopo una prima tappa a Firenze, dove aveva potuto godere dell’ospitalità di Ferdinando de’ Medici (fratello di Gian Gastone) mecenate illuminato oltre che reggitore del teatro costruito all’interno della sua villa di Pratolino, Händel decise di proseguire per Roma, ove potenti erano le parentele e le amicizie del principe, e molte erano le possibilità formative e professionali. Ben presto gli accordarono i loro favori eminenti personaggi fra cui i cardinali Benedetto Pamphilj, Pietro Ottoboni (vice-cancelliere della Chiesa), Carlo Colonna, il Marchese Francesco Maria Ruspoli. Il fatto che nella città eterna – in ottemperanza ad un editto promulgato da Papa Clemente XI nel 1703 – fossero proibiti gli spettacoli teatrali, costrinse il “sassone” a cimentarsi con altre forme compositive quali l’oratorio, inni e mottetti sacri, e soprattutto le cantate che rappresentavano una peculiarità tipicamente italiana. Ed è proprio attraverso questa straordinaria forma che Händel si confronta sia con altri rinomati autori del periodo (Giacomo Carissini, Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, Agostino Steffani, Francesco Gasparini etc.) sia con la propria capacità di innovazione e sperimentazione. La maggior parte del repertorio cantantistico era destinato naturalmente alla voce di soprano seguito numericamente da quella di contralto, mentre rimanevano assai rare le pagine pensate per le voci maschili, in particolare per quella di basso (basti pensare che nell’immmenso corpus complessivo delle cantate barocche se ne possono contare solo poche decine). Anche Händel ne scrisse solo 4 ma quasi sicuramente sappiamo, almeno per una, che la scelta fu dettata dalla bravura degli interpreti. Infatti, per la messa in scena della sua prima opera italiana, l’Agrippina del 1709, il “sassone” aveva avuto modo di lavorare con due bassi veramente eccezionali: Giuseppe Maria Boschi e Antonio Francesco Carli. E fu forse proprio la voce di quest’ultimo ad ispirargli la virtuosistica cantata “Nelle Africane Selve”.Nel trattamento del basso vocale è interessante poi il confronto con la raffinata scrittura  del poco conosciuto musicista romano Filippo Amadei  detto Pippo del violoncello (per il suo virtuosismo sullo strumento), che per riflesso della sorte godette di maggiore popolarità più a Londra (patria haendeliana) che non in Italia. Dopo aver scritto l’opera Teodosio il giovane  (nel 1711), entrò a far parte dell’orchestra del King’s Teatre al momento della fondazione della Royal Academy e proseguì la sua attività sia come compositore che come arrangiatore (per il teatro londinese nel 1721 revisionò l’Arsace di Orlandini e compose il primo atto del Muzio Scevola).Più “diretta” fu invece la “sfida” con un grande protagonista della musica di quel periodo: Domenico Scarlatti. Il compositore napoletano – che poco spazio dedicherà al repertorio vocale –  scrive proprio per un “basso” la deliziosa “Amenissimi prati” rivelando quella genialità di carattere che sarà poi propria della sua inventiva strumentale. E il paragone fra i due autori è testimoniato dalla famosissima “gara” della primavera del 1709: “Giacché suonava [Domenico Scarlatti] assai bene il clavicembalo, il cardinale Ruspoli decise di metterlo a confronto con Handel per una gara di abilità. L’esito della prova al clavicembalo è stato variamente riportato. Si dice che alcuni diedero la preferenza a Scarlatti. Ma quando si misero all’organo, non ci fu più alcun dubbio su chi fosse il migliore. Lo stesso Scarlatti riconobbe la superiorità dell’antagonista, confessando candidamente che prima di avere sentito Handel all’organo non aveva idea delle enormi possibilità di questo strumento. Rimase così impressionato dal suo speciale modo di suonare che lo seguì ovunque in Italia né era mai così felice come quando stava con lui” (John Mainwaring, primo biografo haendeliano).