Sei un barbone, vade retro

Giovanna Rezzoagli

Mentre a Roma il sindaco Alemanno smentisce, piuttosto imbarazzato, le affermazioni dell’Assessore all’ambiente Fabio De Lillo in relazione all’installazione delle nuove panchine “anticlochard”, questo innovativo frutto dell’umana solidarietà è già da tempo stato introdotto nell’arredo urbano di Verona. Nella città di Romeo e Giulietta, il sindaco leghista Flavio Tosi ha avviato la sperimentazione di un prototipo di panchina con braccioli al centro nel novembre 2007, ufficialmente per motivi di decoro e di ordine pubblico, la sostituzione delle vecchie panchine con quelle nuove è, dopo due anni, ormai effettiva e definitiva. A Roma, probabilmente, andrà diversamente, dopo la presa di posizione del sindaco. Impedire ai senza tetto di potersi stendere sulle panchine, rappresenta solo l’ultima delle strategie dissuasive messe in atto negli ultimi mesi per allontanare i cosiddetti barboni dalle città più o meno grandi. Da Vicenza a Conegliano, da Vittorio Veneto a Cortina d’Ampezzo sino a Savona, in queste città è vietato chiedere l’elemosina. A Bergamo un’ordinanza autorizza a questuare per un’ora al giorno. A Sestri Levante è sorta recentemente una querelle relativa alla frequentazione della mensa dei poveri, gestita dai frati cappuccini e situata nella zona “in” della cittadina, contemporaneamente a denunce relative a comportamenti aggressivi da parte di alcuni senza fissa dimora. Ad andare a ritroso nel tempo non si può dimenticare il barbone dato alle fiamme per puro divertimento. Nella nostra società il problema di chi non ha un posto dove vivere è concreto e, alle soglie dell’inverno, è destinato ad assumere particolare rilievo. Anche il tema della sicurezza non è trascurabile, ma occorre porre attenzione a non confondere l’emarginazione con la delinquenza. L’equazione barbone uguale problema, decisamente semplicistica, rischia di avallare comportamenti di rifiuto e di spregio nei confronti di chi vive ai margini, se non al di fuori, degli schemi sociali. Già, perché alla radice del problema vi è sostanzialmente la tendenza di noi tutti a configurare gli individui all’interno di categorie, e di generalizzarne le caratteristiche estendendole a tutti i soggetti che vi inseriamo, finendo poi col determinare la creazione del giudizio a priori. In periodi particolarmente conflittuali, come quello attuale di crisi sia materiale che morale, questa tendenza diventa preponderante, anche al fine di ricercare un capro espiatorio su cui riversare le origini di tutti i mali. In questa ottica, che in termini tecnici prende il nome di Teoria dell’etichettamento (Labelling theory) ed ha visto come principale sostenitore il sociologo Howard Becker, meglio si comprende l’enfasi data dai media ad episodi di cronaca in cui esponenti della purtroppo nutrita categoria degli emarginati sociali ricoprono il ruolo del colpevole piuttosto che quello della vittima. L’allontanamento o, eufemisticamente, la dissuasione al soggiorno dei barboni nelle città dovrebbe porre logicamente la questione del dove e del come queste persone avranno la possibilità di condurre una semplice sopravvivenza. Non credo che sia possibile definire civile una società in cui un bambino muore per le esalazioni di monossido di carbonio perché sua madre non poteva permettersi di riscaldarlo in sicurezza. I nostri servizi sociali, solerti nel sottrarre i bambini ai genitori per colpevole ignoranza nell’interpretare un disegno, come si muoveranno per aiutare chi non potrà più nemmeno sdraiarsi su di una panchina in un parco pubblico? Si limiteranno a dare indirizzi di enti di volontariato? I rappresentanti delle istituzioni hanno il dovere di tutelare i diritti di tutti i cittadini, anche di quelli che non votano perché magari non hanno la residenza perché non censiti, perché hanno perso casa e famiglia. Sarà molto difficile che un cittadino che vive nel “carrugio” di Sestri Levante si trovi a doversi recare alla mensa dei frati, ma la vita sa essere meravigliosamente strana, e i panni del barbone di oggi nessuno può dirsi sicuro di non vestirli domani. Vade retro barbone, vade retro fratello.