Politici da talk show

 Roberto De Luca

Vi sembrerà banale la mutazione avvenuta nel mondo politico in questi ultimi anni, ma il confronto tra le attività di un politico “eletto” (una volta sì, veramente, dal “popolo”) ed uno “nominato” dalle segreterie politiche è abissale. E la profondità di tale abisso si misura con il distacco che tali personaggi hanno (e mantengono) con gli elettori, che si limitano a ratificare nell’urna, oggi, le scelte di un capobastone nazionale. Eliminate le troppo vivaci sezioni locali e individuata la via del partito “leggero”, tutto concentrato nell’etereo svolazzare di onde elettromagnetiche UHF e VHF, al cittadino non è più richiesta la partecipazione attiva, ma la semplice veste di spettatore. Un televisore, un telecomando, una comoda poltrona e un attento ascolto: questo il ruolo, oggi, del cittadino-elettore teledipendente. E che non ci si addentri troppo a fondo nelle vicende politiche locali, né tantomeno negli affari degli amministratori e, meno che mai, nelle loro vicende giudiziarie e nei relativi giudizi emessi o in itinere. Tutto deve scorrere tranquillo sul territorio, mentre tutti si è chiamati a tifare per la squadra politica del cuore, sia essa pro-B o contro. Un tifo da stadio è quello che ci vuole. E i cittadini-tifosi oggi non dialogano più; si azzuffano. Ed altri si abbuffano.Basta allora con le ideologie (delle quali non sentiamo una grossa mancanza, in verità), ma basta anche con le idee e gli ideali. Così tutto si può ridurre al pettegolezzo più becero e improduttivo, mentre le famiglie fanno i doppi salti mortali per far quadrare i conti ed i morsi della crisi diventano sempre più profondi. Le colline abbandonate franano; le rotaie delle ferrovie con traffico sospeso si riempiono di erbacce; gli ospedali pubblici si popolano di disperati, proprio mentre i sedicenti rappresentanti del “popolo” preferiscono le cliniche private di altri paesi per curare i loro gravi malanni; gli amministratori maneggioni “possiedono” interi paesi e “mangiano a sette bocche”. E mentre l’Italia si arrovella nell’inferno della corruzione diffusa, tanto che la mafia viene chiamata al tavolo delle trattative come una qualsiasi associazione di categoria, i sedicenti rappresentanti del popolo discettano del perché e del percome in allegri salotti televisivi, o in altri più austeri o, semplicemente, meno ameni. Una volta la politica si faceva sul territorio o in aula parlamentare, adesso in questi talk show a parlare del nulla ed ad apparire; semplicemente ad apparire. Perché se non si passa almeno una volta al giorno sulle TV, allora non si è visibile: la gente dimentica presto il tuo nome e non reggi più all’urto delle elezioni. Ricordo i seri rappresentanti di una volta, qualcuno forse anche ammalato di quel peccato originale del trasformismo, ma tutti seriamente impegnati a Roma. Una volta svolto il loro ruolo nella città capitolina, facevano ritorno alle loro terre per stare vicini agli elettori. Ricordo la loro presenza concreta sul territorio, assicurata dal voto di tanti cittadini convinti. Ricordo la loro azione concreta, a volte non proprio efficace, ma concreta. Per loro tramite vedemmo ergersi un Centro Sportivo Meridionale: una vera cattedrale nel deserto, sì, ma un’opera vera, ancorché all’epoca pressoché inutile. Un segno, una testimonianza dell’impegno di chi si dedicava alla politica e al territorio, senza tralasciare le clientele, forse, ma senza mai arrogarsi il diritto di ricoprire ruoli importanti nell’economia del posto e senza mai macchiarsi del nepotismo sfacciato che oggi abbiamo sotto i nostri occhi. Mai questi uomini avrebbero permesso lo scempio del territorio. Essi avevano un progetto grande e un’idea del futuro del Vallo, purtroppo del tutto travisata dai loro minuscoli eredi. Questi lillipuziani hanno fatto della politica un mercimonio e delle buone idee un solo fascio, per buttare alle ortiche anche l’ultimo residuo di buon senso. Hanno avuto coperture e salvacondotti, sono stati nominati una volta e mai rimossi dalle loro poltrone. Questi stessi decidono ancora, localmente, del nostro futuro. E se veleni affollano le nostre terre, essi si voltano dall’altra parte, allertandosi solo al tintinnio del soldo. Danaro pubblico o privato, purché sonante. E tutta questa scena si svolge, in moto pressoché immutabile, da anni nella terra che non ama i rivoluzionari, perché ha rimosso fisicamente, una volta per tutte, l’emblema della rivoluzione oltre centocinquanta anni fa. Le fragili ossa consunte degli avventurosi Trecento, richiuse in scatole per la pasta per anni, assistono adesso ai dialoghi sul nulla nei talk show televisivi. Una volta le tribune elettorali erano le uniche occasioni per vedere in televisione un politico di razza, mentre più frequentemente essi arringavano le piazze affollate con la loro impeccabile loquela. Adesso, le piazze deserte, sedicenti rappresentanti del popolo affollano l’impalpabile mondo catodico, riempiendo le nostre giornate dell’etereo vaniloquio sul nulla. Inutile dire che il semplice apparire in TV non potrà mai sostituire il vero confronto dei rappresentanti del popolo con i problemi che affliggono il territorio, minacciato adesso come non mai da mille metaforiche frane. Ma questi veri rappresentanti non esistono più: tutti ormai sono nominati da una elite politica (e qui si potrebbe anche introdurre qualche erudita citazione) il cui legame con i collegi elettorali si è allentato da tempo. Per quanto detto non ci accontenteremo più del ruolo di telespettatori assopiti sulle nostre comode poltrone e resteremo in attesa di scorgere, al largo della costa cilentana, da Ponza arrivare un naviglio, affinché la storia possa di nuovo confermare la sua ciclica natura, oppure finalmente aprire un varco di luce nell’animo e nella mente della gente del posto, sperando che secoli di abbandono non abbiano irrimediabilmente corrotto le tante dormienti coscienze.