Antichi simboli sessuali

   M.M.

Nel Sud della Francia sono state rinvenute antichissime testimonianze artistiche, molte sono immagini della “sacra vulva”. Alcune, che si trovano nelle grotte sacre nei pressi di Les Eyzies, in Dordogna, risalgono a 30.000 anni fa. Come fanno notare gli archeologi, la grotta era il simbolo del ventre della Grande Madre. L’entrata era pertanto un simbolo della porta sacra o apertura vaginale. Questa associazione della vulva e del ventre divino con la nascita, la morte, la rigenerazione è uno dei principali temi mitici nell’arte preistorica. Probabilmente risale al Paleolitico (Età della pietra), è chiaramente presente nel Neolitico (quando ebbe inizio I’agricoltura) e in varie fbrme sopravvive nel’Età del bronzo e anche in epoche storiche più tarde. Numerose sculture (gli archeologi chiamano figurine di Venere o della Dea), ma anche altri oggetti cerimoniali emersi dagli scavi. hanno vulve fortemente accentuate. Siccome l’arte preistorica si occupa prevalentemente dei miti e rituali, è indubbio che queste vulve hanno un significato religioso. Per esempio, nella comunità neolitica di Lepenski Vir (in una regione settentrionale dell’ex Jugoslavia), furono ritrovate cinquantaquattro sculture in arenaria rossa, intagliate in massi ovali collocati attorno ad altari a forma di vulva e di utero, in santuari che avevano anch’essi la forma del “triangolo pubico”. Alcune di queste sculture, che risalgono a oltre 8.000 anni fa, presentano incise il volto della Dea e decorazioni a forma di V, che indicano la vagina sacra. Similmente, un gruppo di fìgurine ritrovate in Moldavia (nella Romania nord-orientale, risalenti a circa 7.000 anni fa, mostrano triangoli pubici molto stilizzati con decorazioni a forma di V. Una Dea di 6.000 anni ritrovata in Bulgaria la “Signora di Pazardzik”, in trono, tiene le braccia ripiegate sulla sua vulva incisa in rilievo. Il suo triangolo sacro è ornato da una doppia spirale, un antico simbolo di rigenerazione. Simile in modo stupefacente è una Dea giapponese, pressappoco della stessa epoca, con doppie spirali sul busto e un triangolo pubico capovolto fortemente stilizzato. Su di un piatto rinvenuto nelle Cicladi che risale a circa 4.500 anni fa, una vulva molto stilizzata è fiancheggiata da rami, sotto un gran numero di spirali, in quel che pare un mare spiraliforme. In altre località la vulva è rappresentata da simboli presi dalla natura, come il bocciolo di un fiore o una “conchiglia di cipria” (le ciprie sono state ritrovate tra gli scheletri che risalgono a oltre 20.000 anni fa, ad indicare che la pratica di porre queste conchiglie nelle sepolture – come simboli del potere femminile rigeneratore – risale alla più remota antichità. Gli antichi egizi spesso decoravano i sarcofagi con conchiglie di ciprea, e persino ai tempi dell’lmpero Romano essi venivano ancora considerati un potente simbolo di rigenerazione. Nell’antica tradizione religiosa indiana, il triangolo pubico femminile era considerato il centro dell’energia divina. Tuttora nello yoga tantrico è associato a kundalini, l’insieme delle energie inconsce che, se risvegliate attraverso i piaceri del sesso, invadono tutto il corpo apportando uno stato di beatitudine estatica. Il culto indiano della “vulva divina” (che in talune località tuttora persiste) è, graficamente illustrato da una scultura indiana relativamente recente: un rilievo del Ventesimo secolo scolpito sulle pareti di un tempio della Dea (nell’India meridionale) che rappresenta due santoni con le mani levate in preghiera, seduti a i piedi di una vulva gigantesca. Altri elementi indicano che anche il fallo maschile era nell’antichità oggetto di venerazione; particolarmente a partire dall’Età del bronzo, le immagini falliche (in particolare le rappresentazioni dell’unione sessuale) si ritrovano già nel Paleolitico. Per esempio a Le Placare (in Francia) gli archeologi ha rinvenuto un oggetto intagliato che chiamarono “bàton de commandement” (mazza di comando), ma ad un più attento esame si rivelò un fallo allungato e molto stilizzato poggiante su una vagina. Uno degli aspetti più interessanti di questo antico ritrovamento è che, come altri manufatti del Paleolitico, presenta una serie di tacche e solo ora si è capito che stanno a indicare le fasi lunari. E’ ipotizzato un riferimento al mito della mestruazione o della gravidanza. Negli scavi condotti a Savignano e sul lago Trasimeno gli archeologi hanno rinvenuto sculture che mostrano, come scrive l’archeologa Marija Gimbutas, una fusione del fallo con il corpo divino della Dea. Sempre in ltalia, nei pressi di Trento, nella Grotta di Gaban è stata ritrovata una scultura che fa pensare sia a un fallo sia a una figurina della Dea estremamente stilizzata, come a rafforzare il nesso sacro tra sessualità femminile e maschile. Questa scultura presenta un’incisione: “un paio di corna a mezzaluna (che simboleggiano il principio maschile) mentre la vulva è rappresentata da un fiore. Uno degli esempi più belli di questa tradizione artistica che raffigura il sesso come sacro ci giunge dalla Mesopotamia; è una piastra in terracotta identificata come “Amanti che si abbracciano sul letto”, si tratta probabilmente della dea Inanna e del dio Dumuzi nell’atto di consumare la loro sacra unione, fu modellata circa 4.000 anni fa e, come molte antiche fìgurine di Dee del Neolitico, delinea chiaramente il sacro triangolo pubico.