Occhio per occhio

 

                                                                                  

Michele Ingenito

Non c’è rabbia maggiore del tentativo di manipolazione della mente. Accade da quando radio e televisioni di tutto il mondo ci aggiornano sulla triste guerra in atto tra Israele e Hamas. Di un potenza indiscussa contro una frangia palestinese. Tra Golia e Davide. I sostenitori di Hamas nel mondo, in particolare quelli del versante occidentale, inscenano lacrimevoli versioni sulla crudeltà di Israele contro uomini, donne e bambini massacrati da bombe e mortai. Vero, verissimo. Ma messa così, la storia rivive l’eterno tormentone della mistificazione della verità e rende ancora più crudele il sacrificio ingiusto di quelle vittime. Vittime che appaiono ancor più beffate, nella sofferenza e nella morte, dai veri mandanti delle stragi. I loro stessi padri. Oltre che da megafoni ambulanti che, al sicuro dei propri privilegi e del proprio benessere, blaterano contro l’assassino Israele. Non entriamo nel merito della verità storica. Di quella che decreta le ragioni degli uni e i torti degli altri. Entriamo, invece, nel merito di una diversa verità. Quella militare. Quella, cioè, che sancisce, oggi come oggi, i rapporti di forza degli uni rispetto agli altri. Di un Israele non contrapposto ad un altro Paese, la Palestina; ma ad una sua frangia: Hamas. Un Hamas che per questo combatte da solo, senza l’aiuto diretto degli altri Paesi arabi, come di solito accadeva in passato. Viene allora spontaneo chiedersi chi siano coloro che definiscono la strategia di guerra di Hamas nel momento in cui decide di provocare a suon di missili una delle maggiori potenze economico-militari del mondo. Con quali obiettivi realistici, soprattutto. Se, come è certo, nessuno tra quegli strateghi ha mai pensato di potere provocare prima e vincere poi la guerra contro un nemico armato fino ai denti, ci chiediamo e chiediamo agli interessati e ai suoi emotivi sostenitori nel mondo: con quale cuore e con quale animo sono stati creati i presupposti oggettivi per una ennesima e sanguinosa sconfitta sul campo? A danno di uomini, donne e bambini innocenti! Contro la propria gente, le proprie famiglie, le proprie case! Nessuno nega il diritto altrui di attaccare e di difendersi. Da quando mondo è mondo, purtroppo, le ragioni della brutalità – ideali, ideologiche, religiose, materiali, politiche, economiche, dinastiche e chi più ne ha più ne metta – si sono sempre risolte con le armi. Con le conseguenze che tutti conosciamo. E che non sono mai servite a niente. E che, per questo, in un modo o nell’altro, si riproporranno all’infinito, fino a quando l’animale-uomo avrà bisogno di affermare il proprio dominio sugli altri. Tuttavia, proprio per questo, dietro la logica sconcertante e amara della legge del più forte, gli eserciti della storia si contrappongono l’un l’altro per lo stesso obiettivo: vincere. O, almeno, con la speranza concreta di potercela fare. Difficilmente la follia della guerra per la guerra prevale per il semplice gusto di farsi ammazzare. Anche se per fede; perché tutto ha un limite. Specie quando si sfida un avversario il cui dogma non teorico e tragicamente applicato è “occhio per occhio, dente per dente”. Nel caso di Hamas, invece, questa elementare valutazione sembra essere venuta meno, irresponsabilmente, nei confronti di un Paese nemico in possesso di una mostruosa macchina da guerra. Per un suicidio a questo punto consapevole. Per sé e per i propri padri, le proprie mogli, i propri figli. Con tutte le conseguenze del caso. Morti odiose ed ingiustificate di cui, a dire nemico, sono responsabili oggettivi gli ‘odiati’ Ebrei; ma, parimenti e soggettivamente, a nostro dire, gli stessi leader di Hamas. Per giunta senza l’appoggio degli stessi Palestinesi. Personalmente siamo e restiamo convinti, infatti, che il governo palestinese guidato dal moderato Abu Mazel sia rimasto troppo defilato nella attuale vicenda bellica per non sapere. O, addirittura, per non concordare; quasi come se la cosa non lo riguardasse. Come se si aspettasse l’attacco militare israeliano contro chi, al suo interno, ostacolava da anni il difficilissimo ma produttivo processo di pace avviato: Hamas. Una cosa analoga accadde, paradossalmente, per un irriducibile Arafat, secondo noi eliminato anni fa (avvelenato?), nonostante le apparenze di una morte naturale (ricordate il suo pietoso trasferimento a Parigi nel disperato tentativo di salvarlo; tragica finzione, forse, di chi – i servizi segreti israeliani – era tacitamente d’accordo con la nascente e moderata forza politica palestinese che avrebbe poi vinto le elezioni?). E, quindi, al solo scopo di spianare la strada ad un nemico moderato e pacifista Abu Mazel seriamente interessato – come poi ha dimostrato – ad un processo di pace duraturo? Certo è che, anche stavolta, l’operazione militare di Israele contro l’ala estremistica di Hamas a Gaza sembra essere stata accettata, se non addirittura tacitamente ‘benedetta’ dal gruppo dirigente moderato palestinese di Abu Mazel. Sono verità indicibili, che nessuno mai potrà confermare. Come per Arafat, la cui moglie – dopo la tragica morte e le conseguenti accuse urlate contro gli assassini del marito – è scomparsa nel nulla per un silenzio quasi certamente dorato. Se così fosse, qualcuno dovrà pure battersi il petto. Ieri un Arafat  intenzionato a tornare poco lucidamente alla guerra e al terrore. Oggi un Hamas interprete a suon di missili di quella volontà,  che per due anni ha minato il sottile processo di pace comunque in corso tra i governi dei due Paesi.Ostentare, quindi, dinanzi al mondo, le sofferenze e le morti esclusive di centinaia di uomini, donne e bambini, se lascia sgomento il mondo intero per il fatto in sé, non lascia meno indignati, dall’altra, contro chi questo disastro ha provocato, pur sapendo di non potere vincere mai la propria guerra. Tutto qui. Sceneggiate televisive, dolore a senso unico, rimpianti esclusivi e condanne per i propri morti soltanto non sono altro che palestre di miseria e di misericordia insieme. Luoghi dentro cui versare lacrime sincere per una condivisione generale della sofferenza;  ma anche lacrime di rabbia e di indignazione contro chi, irresponsabilmente, ravviva sulla graticola il proprio odio e la propria volontà di distruzione contro un nemico che, invece, come tutti, conserva intatto l’ovvio diritto all’esistenza.