Dire basta ormai non si può più
Roberto De Luca
Se ognuno di noi fosse schierato a favore della legalità, allora un sussulto di orgoglio potrebbe essere sufficiente per dire :”Basta!”. Basta con la guerra, basta con il “mobbing” sociale e lavorativo, basta con la rincorsa al potere, basta con la delinquenza, basta con lo spaccio di droghe, basta con l’inquinamento, basta con la corruzione, e basta con le tante, troppe cose che non vanno. Eppure, la “poltiglia” attuale rende le persone perbene e oneste disperse anch’esse in mille rivoli, tanto che non riescono più a parlarsi e a far fronte comune contro l’illegalità dilagante. Qualche persona perbene, addirittura, può essere anch’essa trascinata in questa grande corrente dell’illegalità diffusa, che sembra essere presente come un morbo endemico a tutti i livelli, nessuno escluso, in tutte le istituzioni, nessuna esclusa.Ed è questa la nostra conclusione, alla quale cercheremo di dare una giustificazione: “Dire basta ormai non si può più!”. Sembrerà pessimistico la nostra tesi, eppure, al momento, sembra l’unica possibile. Partiamo dalla guerra. Con pochissime eccezioni, tutti hanno giustificato questa ennesima carneficina, che avviene addirittura sotto gli occhi dei “turisti di guerra” (una vergogna nella vergogna). Centinaia di vite umane perdute in territori che potrebbero essere considerati vere e proprie “terre promesse”, dilaniati da ordigni di ultima generazione. Non si deve necessariamente essere pro o contro questa o quella religione, questo o quel partito politico, questa o quella fazione per provare indignazione e sconforto per quello che sta accadendo. Basta essere donne o uomini perbene e onesti per poter dire basta. Ma dire basta non si può, perché il mondo è ormai una poltiglia di idee e di ideali sfuggenti, di interessi e ragioni di stato feroci, di economie e politiche allo sbando, di attori e figuranti animati, a volte, solo dalla loro saccente protervia. Sul mobbing sociale e lavorativo non diremo molto, anche perché troppe parole dovrebbero essere spese. Questa è un altro fronte di guerra che persone perbene e oneste a volte combattono nell’indifferenza dei poteri precostituiti in tutte le istituzioni, in tutti i settori. A proposito di ciò, tuttavia, vorrei solo ricordare la coraggiosa e vittoriosa battaglia combattuta dall’ing. Materazzi, progettista di una nota casa automobilistica italiana, che ha dovuto cambiare ambiente di lavoro e casa costruttrice per una vicenda che ha il vago sapore del mobbing lavorativo e sociale. Quella sera del 5 gennaio 2009 a Sala Consilina ci ha raccontato uno squarcio della sua vita di impegno nella scienza e nella tecnica. Ci ha fatto toccare con mano quanto possa essere crudele doversi confrontare con i raccomandati sul posto di lavoro; ci ha fatto capire quanto sia inutile opporsi a questi meccanismi, lasciandoci però una speranza, ovvero che gli attuali mediocri con la emme maiuscola, che occupano le istituzioni e che di queste fanno scempio, possano essere finalmente mandati a casa per lasciare il posto ad un’Italia più capace e onesta, oggi nell’ombra, ma non per questo inattiva.Basta con la rincorsa al potere. Basta con la politica fatta da arrivisti, basta con gli affari fatti con la politica, basta con le S. p. A. costruite con i soldi pubblici e popolate dai politici e dai loro parenti e sodali. Questa un’altra piaga: se voglio assumere chi mi pare e piace, sia per sistemare i miei parenti, sia per favorire i mie sodali, potrei immaginare di fare in questo modo. Da un consorzio pubblico creo una serie di società per azioni, che godono di stato giuridico diverso rispetto ai consorzi. Faccio in modo, tuttavia, che esse siano controllate dal consorzio pubblico, che ne detiene una quota sostanziale. Faccio poi entrare nei consigli di amministrazione gente fidata e… il gioco è fatto. Ogni mio sodale è presidente di un consiglio di amministrazione. I suoi amici sono consiglieri e così intervengo in vari settori della vita sociale. Intanto faccio assumere chi mi aggrada dai miei sodali e lascio che loro assumano figli, parenti, nipoti, amici, clientes e via discorrendo. E non si creda che quello che qui viene detto sia molto lontano dalla realtà dei fatti! Il giudice Raffaele Cantone, che tanta parte ha avuto nella lotta al clan dei Casalesi, ha rimproverato alla politica proprio questi metodi nella trasmissione di Ballarò di martedì 13 gennaio. Proprio per questo è difficile agire politicamente (in senso stretto) in un contesto dove i meccanismi sono molto simili a quelli descritti e dove la rete di connivenze è estesa anche agli organismi del controllo democratico. E così, qui nemmeno si potrà dire basta in modo corale. Basta con le varie delinquenze? Ma come si può fare quando il professorino (se vogliamo utilizzare un diminutivo che contiene in sé una connotazione negativa) viene recepito e descritto sui media come un fannullone o, se gli va bene, come una persona (magari pur essendo un orgoglioso studioso) colta, ma inutile per la vita sociale? Quel bene immateriale che è la trasmissione del sapere, di ogni sapere, non è più riguardata come una ricchezza. La vera ricchezza di una società. Forse così come l’agricoltura non è più riguardata come una risorsa, forse la risorsa principe di un territorio a vocazione agricola. Ormai conta il danaro, la macchina e l’abito. E quanti delinquenti vedete in bella vista nelle bellissime auto in giro per le strade dei nostri centri? Per molti giovani diventano dei veri punti di riferimento. Che conta come si sono procurati quei danari? Che conta se le loro attività sono in odore di camorra? Dalle apparenze conducono una vita brillante; vengono rispettati e temuti. Pensate che il tessuto sociale si possa corrompere fino a questo punto senza quella connivenza necessaria a rendere queste piaghe purulente fino al punto di tentare (riuscendoci) di espungere persone di cultura dalla vita attiva come dei veri e propri personaggi ingombranti? E allora, dovremmo iniziare da un controllo vero sugli organismi di controllo per capire come si attivano questi meccanismi perversi e come sia possibile che essi non siano rapidamente fermati. Ma questo, per definizione, non ci è dato fare e così, ancora una volta, concludiamo pessimisticamente che non possiamo dire basta in modo corale. Quando le persone oneste sapranno organizzarsi almeno tanto quanto sanno fare i delinquenti (infatti non si parla mai di onestà organizzata, ma molto di associazioni per delinquere) allora ci sarà una speranza. Per il momento ci limitiamo ad ascoltare il canto degli assassini, accompagnato dai loro strumenti di morte, nelle feroci mattanze in terra di camorra.