Morti bianche: una valanga di croci

Aldo Bianchini

Un Paese civile arriva al capolinea quando non riesce più a controllare il luttuoso fenomeno degli infortuni sul lavoro che hanno come conseguenza la morte o l’invalidità permanente; e il nostro è un Paese civile. Il fenomeno infortunistico, però, sembra essere schizzato fuori da qualsiasi forma di controllo capillare tanto è vero che, dopo alcuni anni di apparente diminuzione, la statistica attuale ci dice che almeno negli ultimi due anni c’è stata una recrudescenza assolutamente palpabile. La giornata del 9 dicembre 2008 è stata terribile: sono deceduti “per cause ed in occasione di lavoro dipendente” cinque giovani lavoratori, due dei quali appena ventenni. E si è trattato di cause molto comuni, come lo scivolamento di pietrisco di cava, lo smottamento di terra e la caduta dall’alto; tutte cause talmente vecchie e conosciute da apparire come fattori non più in grado di produrre lesioni permanenti o addirittura la morte perchè le stesse sono state sviscerate, spiegate, elaborate, preventivate e raccontate in tutte le lingue ai dirigenti di grandi aziende come agli operai delle piccole imprese edili nel contesto di ogni corso di formazione per dirigenti, preposti e lavoratori semplici. Ci viene da chiedere a cosa sono serviti le migliaia di corsi organizzati sulla scia e sull’onda emozionale dell’entrata in vigore del D. L.vo 626/94; perchè sono state spese migliaia di miliardi di vecchie lire per pagare anche profumatamente i cosiddetti “professionisti” dei corsi che in quindici anni hanno accumulato soltanto ricchezza a discapito della professionalità e, soprattutto, della trasmissione dei giusti elementi informativi ai soggetti da formare. L’escalation del fenomeno infortunistico è ripresa lentamente, quasi in sordina, fino ad esplodere nella avvilente casistica attuale nonostante l’impegno costante del Presidente della Repubblica che, per primo nella storia del nostro Paese, è più volte e direttamente intervenuto sollecitando e bacchettando anche quelli che devono vigilare sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e, forse, non lo fanno come la legge impone. E il costo del fenomeno continua a crescere fino a toccare livelli inquietanti anche sul piano squisitamente del “costo sociale” che l’Inail denuncia essere pari a circa venticinque miliardi di euro all’anno; insomma quasi come una grossa legge finanziaria. Il fenomeno è talmente entrato nella nostra quotidianità che ci siamo tutti abituati alla pubblicizzazione delle notizie, tanto da non apparire più come notizie e da scomparire dai grandi quotidiani e, quindi, dall’immaginario collettivo. Cosa fare, dunque, a questo punto? Bisognerebbe fare poco ma farlo con serietà e severità, cercando di far radicare nella coscienza di tutti (a cominciare dagli alunni delle scuole elementari) il fenomeno infortunistico come messaggio culturale per la giusta attivazione di ogni strumento di prevenzione utile all’abbattimento del rischio infortunistico sui luoghi di lavoro che dovranno presto ritornare ad essere luoghi di vita e non di morte.