I ragazzi Burgess-E.Strout

Angelo Cennamo  

Una piccola casa gialla in cima a una collina nella periferia nordorientale degli Stati Uniti: chi lo conosce il Maine? E’ qui, in questo angolo remoto di un’America rurale, silenziosa e verace, lontana dagli stereotipi del cinema e della letteratura che comincia la storia di Jim, Bob e Susan: i fratelli Burgess. Una storia come tante altre se non fosse segnata fin dal suo inizio da un dramma mai spento: nel vialetto dietro casa, i tre fratellini, giocando con la leva del cambio, fanno piombare la macchina addosso al padre, uccidendolo. Bob ha quattro anni, di quel giorno ricordava solo il sole sul cofano dell’auto, il padre coperto da un lenzuolo e la voce dei suoi accusatori. Era tanto tempo fa. Quei ragazzi di campagna oggi sono diventati adulti e loro strade si sono divise: Jim è diventato un avvocato di successo, intervistato da giornali e televisioni. Gioca a golf, ha una bella moglie e dei figli che studiano in college prestigiosi. E’ determinato, sicuro di sé, spesso arrogante, specialmente con il fratello: “Ehi, cretino” – così Jim chiama Bob – “Non sai niente di cosa significhi vivere in una casa da adulti, invece che in un dormitorio universitario. Non sai niente delle donne di servizio, dei giardinieri, di cosa significhi mantenere una moglie e dei figli”. La vita di Jim è semplicemente perfetta. Anche Bob è un avvocato, ma non lo conosce nessuno. Lavora per un sindacato che assiste i meno abbienti. Sua moglie lo ha lasciato quando ha scoperto che non poteva darle dei figli. Bob è un uomo fragile, alcolizzato: “la gentilezza lo aveva reso debole per tutta la vita”, irrimediabilmente traumatizzato dal dramma familiare che si trascina dall’infanzia. Vive a Brooklyn, a pochi isolati da Jim, ma la sua casa non è lussuosa come quella del principe del Foro. Eppure è “un tipo gradevole. Stare con lui dava la sensazione di trovarsi all’interno di un circolo intimo e ristretto. Se Bob fosse stato consapevole di questa sua caratteristica, forse la sua vita sarebbe stata diversa”. Susan, gemella di Bob, è rimasta lassù, nel Maine, a Shirley Falls. E’ una donna trasandata, apatica, taccagna. Divorziata, vive con un figlio di diciannove anni, taciturno, senza amici, esitante in ogni azione, mezzo matto: Zachary. I ragazzi Burgess si sono allontanati per smaltire i sensi di colpa di quella giornata funesta, ma il romanzo ha inizio proprio con una telefonata di Susan che chiede aiuto ai due fratelli: Zachary è nei guai. Per un uno stupido scherzo, il nipote di Jim e di Bob ha lanciato la testa di un maiale in una moschea frequentata dalla comunità somala. Ora rischia l’arresto e un processo per violazione dei diritti civili. La telefonata di Susan arriva nel momento in cui Jim e sua moglie stanno partendo per una vacanza. Toccherà allora a Bob risolvere quel caso così delicato. Ne sarà capace? Manco a dirlo, il fratello fragile e gentile si fa prendere dal panico, non parla con la polizia e non riesce neppure a difendere Zach dai giornalisti: la sua presenza a Shirley Falls si rivelerà del tutto inutile. Deve intervenire Jim, il solito Jim, big Jim, l’eroe della famiglia, con un suo collega patrocinatore nel Maine. La vicenda di Zach intanto si colora di politica e acquista una ribalta mediatica: a Shirley Falls organizzano una manifestazione per la tolleranza. Sul palco, con il governatore dello Stato, sale anche Jim. Bob è in piazza ad ascoltarlo. Nella sua mente si rincorrono mille pensieri, rivede l’infanzia nella casa gialla in cima alla collina e i fantasmi di quel passato tragico. Mentre Jim parlava “Bob provava invidia, la recrudescenza di un’antica tristezza, e il disgusto di fronte alla propria immagine grossa, sciatta, priva di autocontrollo. L’esatto contrario di Jim”. Eppure tra i Burgess esiste un legame solido e invisibile. Un legame che va oltre quel ricordo incancellabile: ad unirli c’è un profondo senso di lealtà. Una delle scene più emozionanti del romanzo si consuma in una stanza d’albergo di Shirley Falls. La conversazione tra Bob e Jim si accende tra i fumi dell’alcol. Jim non è l’uomo che sembra e di quel maledetto incidente di tanti anni fa esiste un’altra versione, rimasta sconosciuta. E’ una svolta importante che porterà “i ragazzi” a rifare i conti col proprio passato e a progettare un nuova vita.

I Ragazzi Burgess è un romanzo straordinario con un impianto narrativo solido e una scrittura scorrevole. E’ un libro sui legami familiari e sulle fragilità affettive, costruito in modo armonioso intorno a pochi personaggi, dalla personalità ben delineata, nei quali ciascun lettore può ritrovare una parte di sé. La storia dei fratelli Burgess ricorda quella di altri nuclei familiari della letteratura americana: i Levov diPastorale Americana di Philip Roth, e i Lambert de ‎Le Correzioni di Jonathan Franzen. Illustri precedenti che tuttavia non inficiano l’originalità di un racconto brillante che colpisce fin dalle prime battute e che non delude le aspettative del lettore. Come i fratelli Burgess, anche Elizabeth Strout e’ originaria del Maine, lo Stato americano nel quale  l’autrice del romanzo ambienta tutte le sue storie alla maniera di un’altra grande scrittrice, la napoletana Elena Ferrante. Strout e Ferrante hanno molto in comune: la prosa elegante e raffinata ma di facile fruizione, la giusta sensibilità nel raccontare le debolezze umane, e un legame intenso, quasi viscerale, con le proprie radici. In una recente intervista rilasciata al Corriere della sera, Jeffrey Eugenides ( Le vergini suicide, Middlesex, La trama del matrimonio ) ha dichiarato che il futuro della letteratura apparterrà alle donne. Come Strout e Ferrante? Speriamo di sì.