Sete

Giovanna Rezzoagli

Avere sete. Tutti sappiamo cosa significa. Si può sopravvivere per giorni senza cibo, senz’acqua possono essere sufficienti poche ore per fare la differenza tra la vita e la morte. L’acqua è l’elemento vitale. Questo vale per il nostro organismo. Esiste una sete che non si soddisfa con nulla di concreto, di materiale. Esiste una sete tanto bruciante  come quella che tormenta il corpo, ma che difficilmente noi stessi cerchiamo di placare, troppe volte rassegnati ad essere incompresi. Troppe volte respinti dentro un bozzolo di indifferenza, intrappolati in una ragnatela di cui siamo abili tessitori. La solitudine è un veleno sottile che avvolge lentamente una persona, la isola, la paralizza. E’ la sete dei nostri giorni, quella dell’anima. In termini tecnici si definisce “ Bisogno d’appartenenza”, ed è afferente alla dinamica di gruppo che caratterizza ogni insieme di individui che interagiscono tra loro. Tutti abbiamo bisogno di sentirci “parte di…”, di entrare in contatto con altri. In psicologia esistenziale si parla di “Fame di riconoscimento”, ovvero della necessità che si avverte di essere riconosciuti come individui. L’indifferenza fa soffrire moltissimo, al pari della solitudine. Avete presente il classico “bullo”, quello che spadroneggia a scuola, quello che fa di tutto per essere al centro dell’attenzione? Spesso è semplicemente un soggetto che ha trovato questa modalità per gridare che esiste, e ha scoperto che funziona perché non viene ignorato. Rimproverato, punito, isolato o idolatrato, tutto fuorché ignorato. Questo soggetto ha trovato il cibo per placare la fame di riconoscimento, ma probabilmente non l’acqua per dissetarsi l’anima. Anima che si abbevera di rapporti umani, sempre più superficiali. Sembra un paradosso, e forse lo è, in epoca in cui le comunicazioni sono potenziate e favorite dalla tecnologia. Eppure, in un mondo a portata di click, di solitudine si muore, forse più di prima. I vari Facebook, Twitter, Messenger et similia, rappresentano per le anime assetate l’equivalente dell’acqua di mare per un naufrago moribondo: un dolce veleno. Oggi i danni sociali di questa sete non appagata si notano poco, ma chi potrà vedere il mondo tra qualche anno osserverà, con tutta probabilità, uno scenario più inquietante. Internet offre una socializzazione virtuale, in tutti i sensi. Se è affiancata da interazioni sociali soddisfacenti, tutto bene, ma se sostituisce il contatto umano o lo inficia profondamente, sono guai. Già oggi si osserva un aumento di reati contro  persone, animali e cose, commessi per futili motivi, per “noia” come si è soliti sentir affermare. E’ in atto, specialmente tra i più giovani, un processo di deindividuazione dell’Altro, come se non avesse “valore”. La natura umana, incline ai rapporti sociali da sempre per fattori strettamente connessi alla sopravvivenza, non si può stravolgere in pochi anni. Chi vive creando prevalentemente “contatti” virtuali, tende a riprodurre la stessa superficialità anche nel quotidiano. Può apparire una sentenza troppo rigida questa mia affermazione, ma basta guardarsi intorno. Che valore ha la vita oggi? Prevenzione significa, appunto, affrontare prima che degenerino i problemi. La solitudine dei giovani si trasforma spesso in rabbia ed in aggressività. Le persone anziane sole, si ammalano più dei coetanei che vivono una vita sociale più piena. In un mondo che corre veloce, tanti restano indietro, e soffrono una sete di affetto che a volte non avvertono nemmeno più.

 

4 pensieri su “Sete

  1. Gent.Giovanna, ha focalizzato molto bene il senso della SOLITUDINE oggi.Una solitudine mai avvertita prima dall’essere umano, secondo me,neanche nei momenti più dfficili della ns Storia. Una solitudine che, come ha ben scritto lei,è molto profonda, è la solitudine dell’anima, quella dell’uomo senza relazioni umane, che sola può soddisfare la ns SETE di affetto. Questa solitudine fa crescere la diffidenza e la paura dell’Altro , diffidenza e paura che sono alla base di gravi conflitti nel mondo.I latini dicevano:”nullus homo solus vivere potest,quia omnes ad vitam communem nati sumus”.Dunque l’uomo non è nato per vivere da solo ,ma la civiltà dalle mille forme di comunicazione, è sempre di più la civiltà dell'”homo solus”. La macchina che una volta ha caratterizzato la Rivoluzione industriale sostituendosi alle braccia dell’uomo sul lavoro, ora nell’epoca della seconda o terza rivoluzione industriale,la macchina si sostituisce alla sua anima, alle sue relazioni umane, ai suoi sentimenti, al suo modo di essere.”homo solus aut deus aut daemon”.Un uomo solo o è un dio o un demone. Non siamo Dio ma stiamo diventando demoni.Questo discorso comunque non ci deve allontanare dal tema SETE, quela vera . Non dobbiamo dimenticare tanti ns fratelli che di sete muoiono ogni giorno; quelli che per soddisfare questo bisogno percorrono decine di chilometri; quelli che berrebbero per giorni con la sola acqua che a noi serve per lavarci i denti;quelli che la bevono inquinata dilapidando per sempre la propria salute; quelli che ormai non sanno neanche più perchè stanno male mentre noi non sappiamo nemmeno più di aver rubato loro anche la SETE!

  2. Carissima Civetta,grazie per il commento. Non siamo fatti per vivere soli ma oggi più che mai lo siamo. La sete fisiologica che cita è l’esempio lampante della cieca indifferenza in cui viviamo e sprechiamo..
    Buona domenica
    Giovanna Rezzoagli

  3. Quell’acqa che disseta e che soddisfa i cuori estroversi è diventuto, quanto meno e cuotidianamente, sempre più raro.
    Prima ancora che lasciassi l’Italia, in quello squarcio di anni dopo il secondo conflitto mondiale, si viveva in una ” sorgente d’acqua pura di sociabilità a buon mercato”. Ma una volta che giunsi nel “Nuovo Continente”, iniziai ad assaporare, quasi per incanto, la Grande sete…non avevo nessun modo per poter comunicare con chiccessia per via dell’ incomprensione linguistica. Poi, a lungo andare, mi accorsi che in quella parte del mondo era difficile fare amicizia per via della diffidenza tra le persone . Tale maniera essiccava ogni forma di “sorgente, e si aveva sete…”
    Tornai in Italia dove trovai ancora un po’ “d’acqua per dissetarmi, ma pian pianino si essiccarono tutte le fonti di “acqua salutare” ed iniziò la grande perpetua sete un po’ per tutti. Sgorgava e sgorga a tutt’ora lo zampillo del progresso…sociale.
    Un abbraccio a tutti.

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