I popoli senza la cultura del futuro, irrimediabilmente senza futuro!

Giuseppe Lembo

Il presente, nel suo corso malinconico e disperato, è l’ultima spiaggia per quella parte della società (purtroppo sempre più numerosa), che, indifferente di quello che accadrà, vive l’attimo fuggente della propria vita, senza pensare al domani, senza la benché minima preoccupazione di quello che sarà il mondo con la fine della propria esistenza terrena. Egoisticamente al di là delle proprie esigenze e delle proprie aspettative terrene, c’è il nulla. Tutto è in funzione del presente; si fa di tutto per soddisfare i propri egoismi legati ad un eterno presente. Noi che abbiamo la pretesa di consumare tutto di tutto, dobbiamo capire che le cose del mondo non sono nostri beni, ma solo beni dati in uso e quindi da ben conservare anche per quelli che verranno. Naturalmente questo principio è stato il principio a base della civiltà contadina, dove era fortemente sentito il senso del futuro. Con fatica si dissodava la nuda terra, si piantavano gli alberi, si coltivava arando e zappando, con lo sguardo rivolto più al futuro che al presente; si piantavano gli alberi pensando al frutto che poteva essere raccolto oltre che dai figli, soprattutto dai nipoti. Con questo spirito del fare, con al centro la Terra, l’uomo ha vissuto secoli e secoli di storia, in perfetto equilibrio antropico e naturale, con lo sguardo attento al futuro, ricco del passato, una importante risorsa per quelli che verranno. Oggi, superata soprattutto nel mondo occidentale, la civiltà contadina e con essa la civiltà industriale e post-industriale, l’uomo in crescente conflitto con il proprio essere, vive la sua esistenza in un eterno presente senza alcuna attenzione per il proprio futuro. All’essere, si sono andati sostituendo i piaceri dell’apparire, del consumo frenetico e di un divismo che spinge il sé ad un falso e vuoto protagonismo portato alle estreme conseguenze da un mondo mediatico, dove ciascuno vive in solitudine la propria vita, affidandosi più ad un modo di essere virtuale che reale. Sicuramente il futuro sarà caratterizzato da un crescente miscuglio di razze e popoli della Terra; ci sarà una contaminazione delle diversità antropiche, con nuovi scenari umani, fatti di un diffuso meticciato, per cui niente sarà come prima. In questo mondo nuovo, rotti i vincoli legati alle specifiche razze umane, si va verso l’universalismo umano e sociale. Una grande e rivoluzionaria conquista che cambierà il futuro dell’umanità. Si tratta, infatti,  di un fatto di grande rilevanza antropica, per effetto della quale, l’uomo, si pone oltre gli steccati tradizionali della propria appartenenza. Siamo di fronte ad un passaggio importante; richiede,  lo sforzo di una grande solidarietà umana e di una visone nuova del mondo, dove la vita dell’uomo continua anche dopo la morte, soprattutto attraverso tutto quanto in vita ciascuno ha saputo costruire in termini di valori, di umanità, di insegnamenti, legati ad un’etica universalmente condivisa. Per questo insieme di valori, il patrimonio umano di ciascuno (non tanto quello delle cose, ma dei propri vissuti immateriali), va oltre la morte e rappresenta una forza per il futuro, che ha bisogno di presente e soprattutto di passato. Siamo in una fase nuova; riducendo le distanze umane, si pongono nuove basi, per una diversa vita sulla Terra. Superate le difficoltà del momento l’uomo, con l’intelligenza del protagonismo del fare, saprà ritrovare il giusto rapporto con l’altro e, solidarizzando, saprà gettare le basi per una vita d’insieme, capace di guardare oltre il presente e saper pensare oltre al proprio sé, ad una società-mondo, umanamente impegnata a costruire il bene comune, basato sull’etica condivisa e sulle radici del passato, da considerare una risorsa umana importante soprattutto per chi sa organizzarsi la vita non lungo la via di un eterno presente, ma guardando al futuro di cui, ognuno per sé ed insieme agli altri, deve saper dare il proprio contributo a costruirlo.