Democrazie, sane o malate?

   Michele Ingenito

Tre avversari politici la pensano diversamente e lui, Mahmoud Ahmadinejad (è triste anche di nome), il neo eletto presidente dell’Iran e i suoi tribunali li condannano a morte per terrorismo. Avete mai visto terroristi manifestare in piazza con tanto di volto scoperto? Noi non ancora. Di solito i terroristi agiscono nell’ombra e colpiscono alle spalle. Chi più di Mahmoud Ahmadinejad lo sa, atteso che vide e condivide il mondo musulmano nei suoi estremismi? Ha mai visto, il neopresidente iraniano, terroristi in procinto di farsi saltare in aria fare opposizione politica in piazza nell’imminenza dell’evento fatale?  Bella farsa di democrazia, allora, la sua. Ma i commentatori di parte sostengono che quei tre sono stati ritenuti colpevoli anche di legami con organizzazioni non riconosciute dal governo iraniano, in particolare con l’associazione della monarchia dell’Iran ed altri gruppi iraniani in esilio. E’ come se oggigiorno la giustizia italiana condannasse a morte i seguaci di Mussolini o, quella tedesca, i naziskin. Tanti modi, come si vede, di interpretare la democrazia nel mondo. Non entriamo nel merito strettamente politico di quella che è la visione democratica da parte dei poteri forti dell’Iran. Ma, se solo i paesi occidentali la volessero minimamente condividere, i rispettivi ministeri del lavoro e sindacati competenti tirerebbero un sospiro di sollievo per il nuovo impiego pubblico: quello del boia. Non scherziamo, allora, quando da più parti si predica nel nostro paese la mancanza di democrazia con specifico riferimento alla precaria se non alla mancata libertà di stampa. Con tutto quello che si dice, si scrive e si predica contro il governo in carica, così come contro i governi che lo hanno preceduto, sarebbero infiniti i cimiteri per giornalisti di un paese amministrato da un Mahmoud Ahmadinejad.Questo per quanto riguarda un aspetto della medaglia; quello negativo di paesi che si autodefiniscono democratici e che di democrazia politica autentica ne sanno quanto una iena al cospetto di un agnello e del suo diritto alla vita. .C’è, poi, un altro aspetto. L’aspetto positivo della falsa democrazia dominante in paesi, di fatto, dittatoriali. Paesi musulmani, orientali o mediorientali tanto per intenderci. Cioè, come trattano la droga, ossia l’equivalente della distruzione fisica, morale, psicologica e psichica e chi più ne ha più ne metta soprattutto dei giovani e delle loro famiglie, o gli intrallazzi politico-istituzionali, le ruberie, le truffe, gli esiti mortali ingiustificati provocati da prevedibili disastri ambientali e così via. Tutte questioni che non si risolvono con processi infiniti che, tutto al più, ingabbiano per pochi anni i pesci piccoli del traffico mondiale, né con maestosi (e costosi) funerali di stato e conseguenti (e ancor più costose) ricostruzioni a carico del contribuente. Ma semplicemente con un po’ di funzionale ed economico piombo.Anche questi sono aspetti di democrazie malate, certo. Che non riconoscono il diritto del giusto processo, l’onere certo della prova e la condanna solo oltre ogni ragionevole dubbio. Una cosa è certa, però. In Iran come in Afghanistan, in Siria come in Arabia Saudita, a Singapore come in Thailandia o in Cina, chi viene preso con la droga ci rimette pezzi del corpo o il corpo per intero. Perché da quelle parti, tra le montagne di Kunar ad esempio o a Kandahar, a Kabul come ad Oruzgan, Paktia e così via in Afghanistan, Pakistan e regioni analoghe, l’oppio si produce eccome. Ma ad uso e consumo occidentale, dei paesi ricchi ed opulenti di cui noi facciamo parte. Zone in cui, unitamente a quelle del Sud-America più note, la Colombia su tutte, si produce l’infernale prodotto dietro il quale si nascondono ineliminabili interessi legati alle mafie del globo. Nonostante ciò, se stinchi di santo non sono, i paesi delle realtà geografiche in precedenza citate se ne guardano bene dal consentire l’uso della droga al proprio interno. Grazie proprio alle loro democrazie malate quanto si vuole, ma certamente efficaci nella tutela delle proprie popolazioni. E’ una provocazione forte e lo sappiamo. Ma è pur sempre una provocazione che fotografa la realtà. Il paese, il nostro in questo caso, è stanco di assistere a cerimonie funebri tipo quelle di Messina o ancor prima d’Abruzzo. Come sempre, tutti sapevano, nessuno ha fatto. Come al solito scattano (dopo, mai prima) le indagini delle procure e si notificano i primi avvisi di garanzia. Come sempre e come al solito. Perché non accada mai più, come recita la stanca e stufa retorica di vescovi, cittadini e vittime. Non è che la nostra democrazia da malata cronica stia per caso morendo? Perché, a furia di trincerarci dietro il pur apprezzabile scudo del paese patria del diritto, stiamo in realtà perdendo i diritti. Il diritto della certezza della tutela della cosa pubblica, il diritto della prevenzione obbligatoria rispetto a tutto ciò che possa visibilmente provocare morte e distruzione, il diritto-dovere di chi ci governa di liberarci subito dalle male piante. Vedi Fondi, ad esempio, il comune in provincia di Latina i cui consiglieri di maggioranza si sono recentemente dimessi. Ebbene, nella circostanza, il ministro dell’interno Maroni si è avvalso della scimmietta, pur vedendo, sentendo, parlando. Inchinandosi ai motivi di opportunità politica per un serbatoio di cinquantamila voti sporchi a cui la sua maggioranza non ha saputo rinunciare. Voti che, alle regionali della primavera prossima, rimarranno nel calderone di centro destra, favorendo il ribaltone a danno della concorrenza. Ma a quale prezzo! Il prezzo della difesa di fatto di un ambiente politico-istituzionale compromesso con i poteri mafiosi, auto smentendosi in qualità di ministro dell’interno. Perché, ignorando le motivatissime relazioni con le quali il rappresentante del governo a Latina, Prefetto Frattasi, chiedeva lo scioglimento di quel comune per infiltrazioni mafiose, lui, Maroni, membro del governo, ha smentito il proprio rappresentante periferico. Cioè il governo e, quindi, se stesso. Questa è e resta la sostanza del discorso. Dinanzi ai voti, ci si cala le brache. I poteri forti e non trasparenti sul territorio, le mafie, lo sanno e giocano al rialzo. Con l’aiuto, spesso, e la connivenza, di servizi segreti deviati o meno, di poteri dello stato collusi, con tutta le feccia che ai vari livelli costituisce il collante indispensabile tra poteri ufficiali e forze di potere illegittime, ma economicamente impressionanti per la grande capacità di condizionare la gestione e la vita del paese. Borsellino non fece in tempo a salvarsi, Di Pietro sì. Non glielo si può rimproverare, come tanti lettori sprovveduti (sprovveduti?) continuano a fare sui blog.La democrazia ha, dunque, un prezzo. Questo? Ne dubitiamo. Ma nell’Italia di oggi non ci sono vie d’uscita. De Magistris lo ha illustrato in una nobilissima lettera al Capo dello Stato (non stranamente non riportata dalla grande stampa), al quale contesta di averlo abbandonato, costringendolo di fatto a rassegnare le dimissioni dall’ordine giudiziario (“Presidente, lascio la toga anche per colpa sua”, ne Il Fatto Quotidiano, 01.10.09). Alla fin fine, ci sono tra l’Iran e l’Italia due medaglie con due mezze democrazie sane e due mezze democrazie malate. L’una – l’Iran – avrebbe bisogno dell’altra e viceversa. Ma la perfezione,si sa, non esiste. Quindi, noi continueremo a tenerci la droga, loro il boia per mancanza di libero pensiero. A meno che non ci prestino per un pò  di tempo Mahmoud Ahmadinejad. E noi a loro, per riconoscenza, Silvio e Mediaset.