Bestemmia

Fulvio Sguerso

Nell’Inferno dantesco i violenti contro il nome, e quindi contro la persona stessa di Dio, sono condannati  a giacere supini e nudi per l’eternità su un sabbione rovente sopra il quale “d’un cader lento, / piovean di foco dilatate falde, / come di neve in alpe sanza vento.” Il contrappasso è evidente: come non si peritarono da vivi di ingiuriare il santo nome di Dio, così ora devono rimanere immobili con la faccia rivolta eternamente verso quel cielo che non hanno a suo tempo temuto. La pioggia di fuoco allude al rogo a cui erano condannati i bestemmiatori nel Medioevo, poiché si riteneva che fossero posseduti dal demonio. D’altronde, secondo il Levitico basta un solo bestemmiatore a contaminare l’intera comunità dei credenti, per questo la punizione dovrà essere severissima: “Chiunque maledirà il suo Dio porterà la pena del suo peccato. Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo del paese, se ha bestemmiato, sarà messo a morte” (Lv 24, 15-16). Il Dio dell’Antico Testamento, si sa, può sopportare tutto meno che di essere nominato invano, figurarsi poi l’essere nominato con aggettivazioni non propriamente rispettose ed encomiastiche, come usavano fare i nemici di Israele; su costoro ricadrà implacabile il castigo divino: Sennacherib verrà trafitto da una spada, e così Antioco Epifane, la “bestia satanica” del profeta Daniele, così pure gli Edomiti che gioirono per la rovina di Gerusalemme saranno sterminati dal furore del Dio offeso. Ora però a un qualunque misero profano  può venir fatto di domandarsi: tra un adirato bestemmiatore e un ateo indifferente chi sarà più gradito agli occhi di Dio? In fondo solo un credente può adirarsi con il suo Dio, magari accusandolo, come Giobbe, di ingiustizia, ma pur sempre continuando a dialogare o a disputare con lui, a chiedergli ragione del male e del dolore che sembra colpire alla cieca fedeli e infedeli, giusti e ingiusti, devoti ed empi; a chi invece non crede in nessun Dio, non verrà mai in mente di bestemmiare (e gli toccherà prendersela con se stesso quando le cose gli andranno male). Non per niente il  Vangelo distingue tra bestemmia e bestemmia: “Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del figlio dell’uomo sarà perdonato, ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo né in quello futuro.” (Mt 12, 31-33).Se poi si pensa che Gesù sarà accusato e condannato a morte dal sinedrio proprio in quanto bestemmiatore, si può misurare quanto e come il Nuovo Testamento  differisca dall’Antico. Ma, si diceva, non tutte le bestemmie sono uguali: un conto è la bestemmia-imprecazione dal sen fuggita in un momento di rabbia (e che è persino costata la “nomination” a un concorrente , se ricordo bene, della televisiva “Isola dei famosi”), in cui non c’è una vera intenzione blasfema; così come non sono da considerarsi  coscienti e volute ingiurie alla maestà divina le frequenti e colorite bestemmie che si odono soprattutto nella parlata popolare toscana; no, non sono queste le bestemmie che gridano vendetta al Cielo, ma solo quelle pronunciate consapevolmente e volutamente contro lo Spirito  Santo, perché significano un aperto e dichiarato rifiuto dell’amore di Dio e dei segni della sua grazia operante. Non ha quindi tutti i torti monsignor Fisichella nel voler minimizzare e “contestualizzare” l’ormai celebre “bestemmia” pronunciata, appunto, nel contesto di una barzelletta a sfondo sessista ai danni – si fa per dire – della democratica Rosy Bindi, suscitando il solito coro di sdegnate e scandolezzate reazioni da parte dei soliti moraloni di sinistra privi del benché minimo sense of humor, incapaci (o fingendosi tali) di distinguere una innocente battuta scherzosa da un vero e proprio peccato di blasfemia.  Purtroppo non tutte le “gerarchie” hanno derubricato a trascurabile battuta, sia pure di dubbio gusto, quel nominare invano il nome di Dio da parte di un primo ministro che – tra l’altro (o tra una battuta e l’altra) – si professa cattolico: non è questo lo stile consono – osservano –  a uno statista serio e responsabile; anche perché se i cattivi esempi vengono dall’alto, che cosa mai possiamo aspettarci che venga dal basso? Dall’alto? Dal basso? Chi è in alto e chi in basso? Monsignor Fisichella è in alto o in basso? Come arcivescovo e come teologo dovrebbe stare in alto, o per lo meno davanti al suo gregge. Perché allora non ha giustificato teologicamente la venialità  della bestemmia berlusconiana? Non avrà per caso voluto sottintendere che il Cav. bestemmia più quando si professa credente e cattolico che non  quando racconta barzellette per soli uomini? Il suo nominare il nome di Dio invano, siamo sinceri,  tutto può essere meno che un peccato contro lo Spirito Santo, non essendone mai stato nemmeno sfiorato (dallo Spirito, intendo). Come lo sappiamo? Dica lei, monsignor Fisichella, se ha trovato traccia nel nostro simpatico premier, oltre che del suo esuberante  spirito vitale, di quella “sensibilità spirituale” che, nel cristiano, secondo Urs Von Balthasar – da lei assiduamente studiato e commentato –  rende sensibile la fede e spirituali i sensi corporei altrimenti profani delle umane creature.  O è chiedere l’impossibile?

Un pensiero su “Bestemmia

  1. Molto bello e interessante questo articolo così ben strutturato del prof. Sguerso, il cui stile è inconfondiibile insieme alla chiara evidenza che la “classe non è acqua”.
    “O è chiedere l’impossibile?” Sì, forse è proprio così.Oggigiorno fare domande, lecite, anche semplici si rischia di suscitare stupore quasi quanto le parole stesse di don Fisichella,o addirittura si può venire accusati di protervia o di lesa maestà:”come osi tu…!!” Altrimenti,quando va bene, la riposta è il SILENZIO( come a volte succede anche su questo giornale). Che però NON è il “silenzio degli innnocenti”, bensì di chi una risposta non ce l’ha perchè forse così innocente non è !
    Grazie di cuore, prof. Sguerso.

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