E che ci volete fare?

Salvatore Ganci

Si portava a scuola un coltello a serramanico, di quelli “a scatto”, per “farsi bello” davanti ai compagni. Solo otto anni, stando alla laconica ma amena notizia di “Mediavideo” che allieta questa terza domenica di maggio. Ma il fatto preoccupante non è l’atto commesso dal ragazzetto a cui gli studiosi della società e dei costumi daranno una collocazione nel degrado e nell’ignoranza, quanto la posizione del “dirigente scolastico”. Ammettiamo pure che questo giovane protagonista sia d’animo mite e incapace di infilzare col suo coltello una zanzara: resta sempre il fatto che i genitori degli altri bambini siano legittimamente preoccupati della presenza di un’arma in classe e, altrettanto legittimamente, informano il “dirigente scolastico”. Ed eccola la sorpresa: il capo d’Istituto minimizza, interpretando il serramanico in tasca come “normale” visto che, a suo dire, “il bambino è un tipo tranquillo e non aveva nessuna intenzione di volere fare violenza”. Occorre riconoscere a questo “dirigente scolastico” la dote di sapere compiere approfondite diagnosi psicologiche senza test specifici e, tantomeno, alcuna preparazione specifica, ma a semplice occhiata. Occorre riconoscergli anche doti di preoccupante preveggenza e doti di “umana comprensione” che prevalicano qualche articolo del Codice Penale. Penso che potremmo tutti concordare nel richiedere al dirigente scolastico se ha almeno convocato i genitori del bambino per significare loro un certo difetto di “educazione primaria”. Forse è il caso di stare più tranquilli e mandare i nostri figli presso uno dei pochi istituti privati rimasti? Qui, sopra il 42° parallelo molti hanno provveduto in tal senso anche per fatti molto meno gravi prendendosi qualche volta appellativi poco gratificanti sulla stampa. Mi domando se questo dirigente scolastico è nativo dei luoghi o viene dal nord. Spesso capita di ascoltare o leggere affermazioni come “lo Stato ci ha abbandonati”; ma se questo dirigente è dei luoghi perché non comincia per primo a dare l’esempio che lo Stato è presente sia ad onorare il suo stipendio sia a pretendere da lui una efficace azione educativa?

 

4 pensieri su “E che ci volete fare?

  1. Caro prof. Ganci,

    Lei mette in risalto, oltre all’episodio deprecabile, da svariati punti di vista, la frase seguente, pronunciata sotto il “42° parallelo”: “lo Stato ci ha abbandonati”. Ebbene, mi creda, siamo noi che abbiamo abbandonato lo Stato e le leggi, non viceversa. Qui, solo a dire che sei a favore del rispetto delle regole, diventi un soggetto eversivo, perché la regola è l’arbitrio e quel comportamento anarcoide avallato anche dalla classe dirigente. Serve (è funzionale, si suol dire) questo atteggiamento. Altrimenti come giustificheremmo il familismo amorale e il nepotismo imperante? Come giustificheremmo le ruberie e le vessazioni? Come giustificheremmo l’invasione della camorra in tanti gangli vitali delle nostre istituzioni? Siamo noi, allora, che abbiamo abbandonato lo Stato.

    Continuerò a leggere con molto interesse i suoi commenti sulle notizie che ci propone. Intanto La saluto cordialmente.

    I.S.

  2. Gentile Commentatrice,
    in effetti ho cercato di essere un po’ “diplomatico” nell’accennare al 42° parallelo. Sta di fatto, e me ne dà ulteriore conferma, che nepotismo, corruzione, parassitismo, poca voglia di rimboccarsi le maniche sono, nel mio modesto pensiero, variabili dipendenti mediamente dalla latitudine sotto la quale sono stati generati i politici che, a mio avviso, peggio hanno operato per l’Italia. La Lega Nord non può che ringraziarli visto che l’incremento di voti a cui va soggetta è un chiaro sintomo di volere “scaricare” chi dimentica o vuole dimenticare l’articolo 1 della nostra costituzione. Quante volte ho sentito l’appello ad uno Stato che ha abbandonato il Sud? Ma, giustamente (e coraggiosamente) lei inverte i termini del problema e mi trova pienamente concorde. Forse che il ragazzetto che va con il serramanico a scuola, o quello che ha causato l’asportazione della milza della sua maestra, riflettono un serio problema di relazione con l’autorità? E’ un problema di relazione che appare “culturale” se le affermo che durante il mio servizio militare come Sergente del 36° corso A.C.S. i maggiori problemi nel fare assolvere i più elementari compiti logistici per lo Squadrone (la nostra Comunità sociale, al momento) erano ingenerati da militari di Leva provenienti dal Sud. In quella sede, le assicuro, anche i più “duri” arrivavano alla saggia conclusione che era più conveniente obbedire all’ordine del Sergente. E’ desolante prendere atto, oggi che il servizio militare è stato abolito, che a nulla è servito allora. Forse oggi, a compensazione di una famiglia non educante, di una scuola latitante, anche se tardi, 24 mesi di “soggiorno premio” a spese dello Stato (per chi non studia o non lavora) ad apprendere il rispetto di una Autorità “sana” e che dà per prima l’esempio, potrebbero invogliare ad una minore indolenza e a una migliore propensione al rispetto delle regole.
    Con i più cordiali saluti
    Salvatore Ganci

  3. Grazie della risposta al mio commento. Ecco un altro passaggio, proprio nel Suo stesso commento, che mi ha lasciata a pensare per un po’: “Autorità “sana” e che dà per prima l’esempio”. Mi creda, se attualmente dovessimo seguire l’esempio di alcuni rappresentanti della nostra classe dirigente, allora alcuni di noi si ritroverebbero nei guai.

    Tuttavia, credo che l’indolenza sia solo una parte del problema. Il problema vero, secondo me, sta nell’assenza di qualsiasi tipo di regola condivisa (a meno che non parliamo di quella della giungla, naturalmente).

    Cordialmente, I.S.

  4. Quando ho scritto di “Autorità sana e che dà l’esempio” pensavo al mio Capitano che venne a passare la notte di Natale nel suo Squadrone portando con sé la moglie, panettoni e una cioccolata calda ed io lo ricordo bene perché quella notte del 1972 ero di turno come Sottufficiale di Giornata. Lasciando questo esempio così personale (ma dal quale si può imparare qualcosa) veniamo alla squallida realtà. Allora imperava (se non sbaglio) il De Mita senior e oggi? Se l’autorità è quella che fa votare “leggi ad hoc”, con ministri tanto distratti da trovarsi una casetta a Roma a propria insaputa (almeno da quello che ho capito), da Rettori che si fanno rinnovare ad libitum il mandato e sistemano il proprio figliolo come ricercatore, béh, capisco che al saggio non rimane che leggere la relazione dei commissari e farsi quattro risate (quando si stila un giudizio non si dovrebbe, quanto meno, cadere in contraddizione logica con le premesse). Il dato sconcertante è che sotto quel parallelo non c’è mai stata reazione all’esempio negativo né dello Stato centrale né dell’autorità periferica. Anzi, i furbi prosperano numerosi nel background del clientelare e laddove tanti ciechi vanno a comprare il giornale in motorino. Ma il Sud è fatto solo di invalidi, di disoccupati, di persone che vivono di sussidi? Non sembrerebbe visto che la società che offre è quella della Jungla (come lei la definisce). L’assenza di “regole” nel Sud è fortemente voluta, a mio avviso, perché fa parte di una “cultura” così remota nel tempo e che nessuno ha mai provato a volere cambiare. Ci sono due modi per difendersi: o punire in modo esemplare chi trova normale andare con un coltello in tasca a scuola, o cambiare scuola, anche pagando rette che rappresentano un sacrificio. Concludo, ricordando a tutti i politici campani emergenti a sinistra, come nell’Unione Sovietica di Kruscev era “normale” la condanna a morte per gli amministratori ladri e/o corrotti. Era una “cura” un po’ drastica ma era un discreto deterrente a certe “tentazioni”.

I commenti sono chiusi.