Hegel e le donne (2)

 Aurelio Di Matteo

Dopo la breve parentesi della Rivoluzione francese, che aveva alimentato le utopie dell’uguaglianza e dell’emancipazione all’insegna della laicità, l’Ottocento tutto e anche gran parte del Novecento furono caratterizzati dalla visione conservatrice borghese – protestante in Germania e Paesi anglosassoni e cattolica in quelli latini – secondo la quale il matrimonio e, quindi il legame coniugale, scaturivano dal dovere religioso e dall’obbligo di formare una famiglia quale istituzione tipica dell’immagine della “buona borghesia”. La donna da sposare doveva essere una ragazza di rango adeguato a svolgere il “doveroso” ruolo di moglie e di madre. L’amore e la passione del rapporto, la felicità terrena dell’unione, appartenevano ai rapporti paralleli, ai quali erano deputate altre donne, amanti o professioniste del sesso. In entrambi i casi alla donna era riservato un ruolo strumentale, subalterno a quelli dell’uomo, deprivato dell’autonomia personale e della possibilità di realizzarsi in altri ruoli sociali. Era una visione alla quale dava regolamentazione il diritto positivo e legittimazione le elaborazioni teoretiche proprio dei grandi pensatori e della cultura dominante. Tra questi ritengo che più di Kant abbia dato il suo sigillo ontologico il Sistema filosofico di Hegel, sia sul piano strettamente teoretico sia su quello fattuale della sua vicenda umana.

Nel cammino del pensiero di Hegel si concretizza in tal modo l’abbandono del suo grande “amore” giovanile, passionale e letterario, per la donna Antigone, che l’aveva spinto a tradurre la rappresentazione teatrale di Sofocle. L’involuzione religiosa e borghese di Hegel, con riferimento alla sua visione della donna, si evidenzia e si definisce ancor più nel raffronto con letterati e pensatori a lui contemporanei.

Questi passionali amori per le eroine della grande letteratura sono anche tipici del rapporto con la donna avuto dai grandi autori, filosofi, poeti, scrittori. E spesso essi hanno non solo vagheggiato i protagonisti delle opere letterarie, ma si sono identificati in qualcuno creato e rappresentato nelle loro opere.

Proprio Antigone fu anche la destinataria dell’innamoramento di Friedrich Hölderlin. Questi, grande amico di Hegel, giovanissimo analogamente s’immerse nello studio della Trilogia di Sofocle e dette alle stampe anche lui la traduzione dell’Antigone oltre che dell’Edipo Re. Nell’atmosfera romantica che ormai si respirava, la giovane Antigone non poteva non entrare nel cuore dei suoi lettori che la vedevano accomunata alle eroine romantiche con la sua vita segnata dalla morte negli affetti più cari, portatrice di bellezza e di amore, soprattutto consapevole e decisa sostenitrice della sua libertà senza condizioni, a fronte della legge dello Stato impersonata da Creonte.

Oltre a questo comune innamoramento virtuale, un’altra circostanza li accomuna. Anche Hölderlin ebbe una relazione con una signora, la bellissima moglie di un banchiere, nella cui casa era stato incaricato della cura dei figli.

Le loro strade umane e teoretiche erano destinate alla divaricazione. Hölderlin non tradì mai, anche nella concretezza quotidiana, la sua concezione dell’amore a cominciare dalla mai sopita passione e nostalgico vagheggiamento della bella e amata signora Susette, trasposta nel suo romanzo Diotima.

Per lui l’amore, il rapporto con la donna sono la continua “ricerca” dell’Unità quale libertaria condizione ontologica della persona. Nel continuo vagheggiamento di un legame minimamente “borghese” e senza condizionamenti strumentali, errabondo, minato da una grave situazione psico-fisica, forse schizofrenia, ricoverato negli ultimi anni in un manicomio, morì in solitudine senza il conforto di nessuno, dimenticato da tutti gli amici tra i quali Goethe e Schiller e soprattutto da Hegel, un tempo suo inseparabile amico e che nel 1803, sebbene Schelling lo avesse inutilmente pregato di dare soccorso all’amico. Due strade diverse, nemmeno parallele, evidenziate proprio nel modo di considerare il rapporto uomo-donna.

Hegel progressivamente annega nel tritacarne dell’assolutezza dello Spirito la giovanile esaltazione di Antigone. Porta a compimento, con l’accettazione dello spirito borghese nella quotidianità sociale, il tradimento dello spirito libero della femminilità dell’eroina della tragedia greca, in uno con il sacrificio della libertà individuale e, quel che è peggio, con il rifiuto di una filosofia che sia, come nel suo vero essere, amore mai compiuto del sapere. La filosofia finisce per essere nient’altro che “il proprio tempo appreso col pensiero”, accettazione di ciò che è; e la donna la realizzazione del “ruolo necessario di moglie e di madre”, quale deterministico momento dell’inarrestabile cammino storico dello Spirito.

A ciò che la trionfante borghesia industriale, delimitando le effimere utopie della Rivoluzione francese, stava determinando nelle strutture e nei rapporti sociali ed economici, Hegel dà la giustificazione ontologica all’interno della costruzione onnicomprensiva della totalità dell’Essere nel suo cammino storico. Insomma una benedizione papale!

Per Hegel la donna vive ed ha senso e funzione solo all’interno della famiglia; mentre soltanto l’uomo svolge il suo ruolo e la sua funzione nell’universo universale della comunità sociale. Il femminile, la donna è nella sua essenza incapace di superare la singolarità, il particolare della sua soggettività, perciò resta all’interno della famiglia. “L’uomo quindi ha la sua vita effettiva, sostanziale, nello Stato, nella scienza ecc., e, in genere, nella lotta e nel travaglio col mondo esterno e con se stesso, sì che egli, soltanto dal suo scindersi, consegue, combattendo, la sua unità autonoma con sè, la cui calma intuizione e la cui eticità soggettiva sensitiva egli ha nella famiglia, nella quale la donna ha la sua destinazione sostanziale, e, in questo, ha il suo carattere etico”.  Così in Lineamenti della filosofia del diritto. E in precedenza, nella Fenomenologia dello Spirito, aveva caratterizzato il femminile con un termine – ironia – che nella tradizione filosofica costituiva una delle maggiori colpe degna di essere sanzionata, come asserisce Platone, con la morte più volte, perché gli ironici erano considerati empi. “Il femminino, eterna ironia della comunità, cambia con i suoi intrighi il fine universale del governo in un fine privato, trasforma la sua attività universale in un’opera di questo determinato individuo e inverte l’universale proprietà dello Stato in un possesso e orpello della famiglia. […..] Il femminino eleva in generale a valore la forza della giovinezza: il figlio in cui la madre ha partorito il suo signore, il fratello, in cui la sorella trova l’uomo come proprio eguale, il giovane, mediante il quale la fanciulla sottratta alla propria insufficienza, consegue la gioia e la dignità della sposa”.

Da queste formulazioni, seppure elevate a momenti della progressione storica dell’universalità dello Spirito, trasuda tanta misoginia, negando alla donna ogni valoriale caratterizzazione originaria. Esaltando il sentimento, la dolcezza, la bellezza corporea del femminile, la funzione della maternità e il valido ruolo della famiglia, è il modo più subdolo e maschilista per riservare e destinare la donna ad un ruolo di subordinazione e di insignificanza sociale.

Con efficacia concettuale e chiarezza semantica Carla Lonzi sintetizza così il pensiero di Hegel: “Coerentemente con la tradizione del pensiero occidentale, Hegel ritiene la donna per sua natura ferma in uno stadio, a cui egli attribuisce tutta la risonanza possibile, ma tale che un uomo preferirebbe non essere mai nato se dovesse considerarlo per se stesso. […..] La Fenomenologia dello Spirito è una fenomenologia dello spirito patriarcale, incarnazione della divinità monoteista nel tempo. La donna vi appare come immagine il cui livello significante è un’ipotesi di altri. La Storia è il risultato delle azioni patriarcali”.