Salerno: Il Catalogo, presenta Mario Schifano – Opere Scelte

Sabato 28 marzo, alle ore 11,30, verrà inaugurata presso la Galleria Il Catalogo la mostra dedicata all’artista romano, con una selezione di opere risalenti tutte agli anni 1973 e 1974 e rigorosamente autenticate dalla Fondazione Mario Schifano. La Galleria Il Catalogo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta prosegue la stagione espositiva affidandosi alla pittura “rivoluzionaria” di Mario Schifano. Genio eretico, artista stupefacente, pensiero complesso non catalogabile, esponente della pop art italiana, Schifano travalica i limiti che andava incontrando e, per lui, ciò che conta sono le esplorazioni, le influenze e commistioni con tutto quanto lo circonda. Ama plasmare un’accesa interiorità con materiali fino ad allora poco o per niente considerati, come le tele emulsionate o il plexiglas. Schifano ha re-interpretato suggestioni importanti del suo secolo con letture personalissime e senza cadere in orridi manierismi. Così privo di pudori o sentimentalismi è stato autentico outsider e al tempo stesso maestro indiscusso, con cui necessariamente confrontarsi. La svolta storica nella sua opera è databile nei primi anni ’60 sorta di confine definitivo dal quale Mario Schifano non tornerà più indietro e proprio da questi anni parte la mostra della Galleria Il Catalogo, che verrà inaugurata sabato 28 marzo, alle ore 11,30, con 14 opere, tutte autenticate dalla Fondazione Mario Schifano, che ripercorrerà quel decennio di cambiamenti continui, frenetici, definitivi, il boom economico, l’avvento della tivù, l’esplosione della pubblicità e del consumismo. A interpetrarlo, questo artista ispirato e controcorrente, protagonista di una ricerca incessante in grado di evolversi alla stessa vertiginosa velocità del suo tempo. Schifano è figlio del proprio tempo. Dipinge anche en plein air, strappa gli alberi di Duchamp, quelli dei giardini pubblici, e li innesta, sezionandoli, nelle sue tele. L’artista che più gli entra nel sangue? Matisse, al quale ruba la tavolozza. I blu di Schifano sono fra i più belli e intensi della pittura italiana, si impossessa dei colori, delle sagome, accomuna segni e paesaggi. Individuato un momento, un particolare, lo ripropone anche decine e decine di volte, persino in maniera estenuante. Quando si ripete, in realtà l’artista cerca di misurarsi con la memoria: sprazzi, barlumi e i particolari si incendiano, ma egli preferisce non approfondire. Dipinge con la stessa frenesia con la quale vive. Disordine incosciente come punto di partenza; disordine cosciente come punto di arrivo. Nella casa-studio di Trastevere tiene dodici-quindici televisori accesi e sintonizzati ognuno su un canale diverso. Le tracce d’iconografia urbana e gli esercizi intorno al genere del paesaggio sono della medesima impronta, fantasmi visivi che operano definitivamente a partire dal filtro mediatico dell’immagine, dalla sua trasfigurazione in sigla iconica rastremata, astratta per caduta d’ogni ragione referenziale diretta. Da lì la pittura di Schifano prende a proliferare come una forma di appropriazione visiva vorace dei segni del mondo, di metamorfosi stereotipa delle immagini che investe tanto il modello naturale quanto l’artistico. Senza moralismi visivi, l’artista nutre il proprio immaginario dell’universo di artifici che vanno sostituendosi all’idea di naturale: nella sua ironia, nella velocità d’appropriazione e restituzione, nell’indifferenza sontuosa dei suoi modi risiedono i caratteri che ne fanno un autore profondamente altro rispetto al pop di rito statunitense. L’esposizione della galleria Il Catalogo, si articola su un nucleo di opere che nel loro complesso rivelano il carattere fondamentale di questo artista: l’essere comunque e profondamente pittore, una propensione quasi innata che ha spinto Schifano incessantemente, per tutto il corso della sua carriera ricca di riconoscimenti prestigiosi, a far scontrare la sua pittura con i mezzi di comunicazione di massa. In Schifano come in pochi altri il medium antico e prezioso dell’iconografia si fa chiave di lettura di una società dominata dallo “spettacolare diffuso”. Come Achille Bonito Oliva, poco meno di un ventennio fa afferma, “Per lui essere moderno significa adattare tale mezzo (la pittura), con tutta la sua storia aurea, al carattere quantitativo della nostra epoca. Per questo ne ha accompagnato l’uso mediante un’accanita sperimentazione e contaminazione linguistica”. Un cammino di ricerca, il suo, che ha attraversato molteplici forme espressive della contemporaneità. Le esperienze fotografiche e cinematografiche di Schifano, nonché l’insieme delle immagini prese in prestito alla televisione, ai rotocalchi, alla pubblicità fanno parte del suo interesse verso tutte le forme di comunicazione. Lo sforzo dell’artista resta costantemente quello di fare della pittura il medium di un mondo postmoderno la cui unica vera realtà è quella televisiva. Istanti, incontri, situazioni, silhouettes si rincorrono nello spazio pittorico, dove rapide pennellate, ricche di sapienza, definiscono e cancellano le immagini, provocando ulteriori suggestioni in un altalenante gioco di rimandi e ricordi. Nei “Paesaggi anemici”, ad esempio, che ammireremo in esposizione, le vedute sono il ricordo, la memoria che costruisce questi spazi, è invenzione così come l’idea di spalancare una porta, un rettangolo in alto, di aprire come una finestra nella superficie continua di quel cielo. Qualunque elemento trovi collocazione nella creazione pittorica di Schifano, nessuno è predominante, né esistono gerarchie: essi si offrono come punto di partenza della sua immaginazione, che rielabora e reinventa. I primi anni Settanta si aprono con la serie di tele emulsionate dove immagini televisive vengono estrapolate, riportate e sottoposte a interventi di colore alla nitro, come in “Televisore” del 1973-74, opera che rappresenta molto bene il gusto espressivo dell’artista in questa fase della sua produzione. Accanto ai “Paesaggi anemici” anche una citazione della produzione del 1967, che si concentra in particolare sui paesaggi stellati e sulle “palme”. Così l’artista recupera lo spirito della terra natale attraverso toni squillanti e antinaturalistici. L’opera denominata “Le stelle”, del 1973-74 non rimanda a una contemplazione del cielo, ma alle luci riflesse dalle insegne dei locali notturni che Schifano riproduce sulla tela usando sagome stellate su cui interviene con spray fluorescenti. Perché per Schifano, nel tempo della “Società dello spettacolo” a fare da riferimento all’arte, che è rappresentazione della vita, può essere soltanto una precedente rappresentazione dell’esistenza stessa..