Viaggiando la sacra costiera: Atrani

 Michele Ingenito

Vivere la propria terra in maniera distratta rientra, ahimé, nella consuetudine. Che, tradotto in parole semplici, vuol dire l’assillo della quotidianità, la fretta del dover fare, la corsa per quel che necessita e, spesso, l’effimero. Ci vuole sempre qualcuno che d’improvviso s’impunta, osserva, riflette. Per poi assumere iniziative da cui rinascono valori, pezzi della civiltà e delle tradizioni locali che altro non sono se non riflessi di una cultura più ampia ed estesa che trova la propria origine viaggiando molto a ritroso nel tempo. Uno dei percorsi più suggestivi ed allo stesso tempo più trascurati dai turisti distratti o troppo stanchi per sottrarre il proprio tempo alla vacanza lo offre la costiera amalfitana con le sue edicole votive. Ci si imbatte, senza vederle, in bassorilievi scolpiti su lastre di marmo quasi sempre ristrette all’interno muri raffiguranti immagini di santi, della Madonna, del Bambino. A volte decorate con colori delicati tinti di sacralità, altre con colori intensi, ispiratori di una forte luce e che sembrano volere esaltare l’annuncio.Ne emerge un’arte figurativa in grado di “spiegarsi da se stessa” per sua stessa caratteristica, come ci ricorda H. Wőlflin (Avvicinamento all’opera d’arte, Milano, Minunziano, 1948).Certo, nella fattispecie è difficile rincorrere la grande arte. Gli autori delle edicole votive restano nella gran parte sconosciuti. Autori quasi sempre di raffigurazioni religiose, segni votivi ordinati su commissione in nome della fede e della religione, per un atto di grande sensibilità e amore per i luoghi frequentati per e da intere generazioni . Anche se il viandante del luogo, e oggi i turisti, non sembrano sostare, se non distrattamente o per un segno di croce molto spesso indotto dal timore. E, invece, resta forte l’esigenza di recuperare in concreto, come in un testo, le innumerevoli testimonianze di un’arte in sé meritevole di rivalutazione e di insegnamento.Pensi a questo mentre ti disseti in piazzetta ad Atrani, confortevolmente seduto con gli amici a “La Risacca”, intento a sfogliare un volume capitato lì per caso. La Tipografia De Luca ha di recente dato alle stampe un pregevole contributo di Andrea Cavaliere – Le edicole votive. Alla scoperta di un patrimonio dimenticato, su idea di Aldo Bottino e grazie alla collaborazione di numerosi concittadini tra cui Michele Sabino, noto ed apprezzato dirigente scolastico del Liceo Artistico Statale “A. Sabatini” di Salerno.Nel dibattito sul confronto e la collaborazione tra le arti, riferendosi al rapporto tra letteratura e pittura, una delle più grandi scrittrici inglesi del ‘900, Virginia Woolf, scriveva in Pictures che le arti sono in “relazioni amorose” tra loro. Utilizzando questo prezioso riferimento di F. De Giovanni (La pagina e la tela, Napoli, Giannini Editore, 2007), non esitiamo ad estenderlo, nell’attuale contesto, al rapporto tra religione e pittura. Perché i sintomi religiosi dell’arte sono ben presenti in alcune di queste edicole votive, nonostante che restino sconosciuti i nomi degli autori. Artisti magari indigenti,  ma non per questo consapevolmente meno significativi e, quindi, poco inclini a sottoscrivere l’’inezia’ artistica del momento, che forse tale consideravano, oppure, inevitabili accanimenti del tempo sulle firme degli autori.In più di un caso, in opere e raffigurazioni risalenti ai primi del ‘700, l’impianto visivo è così forte che non necessita parole. Proprio per quella capacità visiva a tratti eccezionale, che determina il silenzio, la concentrazione, l’ammirazione.Osservando alcune di queste edicole in compagnia del suo autore Andrea Cavaliere, ti accorgi che  una istintiva modalità di lettura a caldo di una di queste preziose edicole votive  mette in automatica contrapposizione la parola e la percezione visiva. La parola come esito della riflessione; la vista come forma di intuizione globale e rapida, che assimila il tutto senza bisogni esplicativi. La differenza la fa la fede, naturalmente, per chi osserva in base a quel presupposto, o l’amore per l’arte in sé. Due elementi, due forme non necessariamente antitetiche tra loro e che suggellano comunque momenti di grande intensità e di forte ammirazione. Soprattutto nei confronti di chi si è cimentato in questo recupero di arte e di valori locali di estremo interesse per l’intero patrimonio culturale di suo (e del nostro) paese e dell’intera area costiera entro cui il fenomeno si è parimento diffuso nei secoli immediatamente precedenti all’attuale. Nel segno e nel ricordo di una cultura religiosa ed artistica di ben più ampie proporzioni, capace di sollevare emozioni potenti, quasi in contrasto con il principio di chi vede le arti figurative come forme impersonali rispetto alle altre ed apparentemente più popolari espressioni artistiche. Il principio in sé appare condivisibile, atteso che l’espressione pittorica rischia di rimanere inerte, talvolta fredda, se non addirittura spenta e, quindi, incapace di comunicare con la necessaria energia. Eppure, nella loro ridotta esposizione alla vita ed all’attenzione dei passanti, come nel caso delle edicole votive di Atrani e dell’intera costiera amalfitana, esse rivendicano una maggiore incontaminazione. Rilanciando, così, nella muta espressione dei loro codici e dei loro valori, un messaggio ancora più alto di riflessione e di rivalutazione dell’arte così come al loro interno intimamente consacrate.