Giustizia e politica: quando l’inchiesta è un’opportunità

Amedeo Tesauro

Editoriali al veleno, speciali dei talk show e clima da apocalisse. Si respira il clima di venti anni fa ed ecco che riaffiora Tangentopoli, fortunato neologismo entrato nel vocabolario comune ad indicare un malaffare fatto di agganci, livelli stratificati (quanto?), e grandi opere. Riaffiorano pure gli stessi nomi, come quello dell’ex PCI-PDS Primo Greganti e dell’ex segretario amministrativo DC Gianstefano Frigerio, a indicare una presenza solida e costante per nulla scalfita del passare del tempo. Ma Tangentopoli non fu semplicemente un’inchiesta giudiziaria, la quale per bocca degli stessi inquirenti non riuscì a fare la pulizia sperata, fu anche l’ariete che buttò giù un sistema politico giunto ormai al capolinea: finita la Prima Repubblica, al via la Seconda. Ciò che oggi differisce è proprio il contesto in cui si inserisce il nuovo scandalo, giacché il sistema è già crollato. Certo, troppe volte si è detto che si fosse in una nuova era, un’epoca dai contorni vaghi e troppo ancora legata a nomi e volti del precedente assetto (ma non era forse così pure tra Prima e Seconda Repubblica?), eppure a furia di dirlo le circostanza si sono sommate. La fine del governo Berlusconi del 2011 e il successivo alternarsi di premier non eletti ha certamente segnato uno spartiacque, l’inizio di un complesso periodo di compromessi e alleanze, a cui va poi sommata l’ascesa devastante del Movimento 5 Stelle. Proprio quest’ultimo risulta essere elemento nuovo rispetto a vent’anni fa, elemento che dalle inchieste giudiziarie potrebbe trarre la spinta decisiva per fare un ulteriore passo in avanti. Venti anni fa, infatti, dallo scandalo nacque un fortissimo movimento d’opinione che fece in breve dei giudici del pool di Mani Pulite degli eroi popolari, con tanto di scritte per i muri d’Italia e bandiere in piazza. Certo, durò poco e alla fine da Tangentopoli emerse il ventennio berlusconiano col Cavaliere in grado di radunare a sé tanti elettori orfani di riferimento, eppure la prima spinta fu quella giustizialista che però non aveva un interlocutore politico così forte. Oggi invece Beppe Grillo vanta ancora abbastanza carica antisistemica per poter fare propria la battaglia dei giudici, tant’è che ha già rivendicato l’importanza dell’operato del suoi nella vicenda Expo; le manette sarebbero scattate, a detta del leader cinque stelle, solo dopo la visita del Movimento nei cantieri dell’opera. Chi gioca col populismo e con l’antipolitica, non che necessariamente ogni cosa partorita dai cinque stelle si muova entro queste coordinate, gioca una partita dalle regole semplificate: per vincere basta che sbaglino gli altri. Di fronte al riemergere del malaffare italiano i grillini hanno l’opportunità giusta per acquistare ancora maggior terreno, preziosissimo per un partito che non stipula alleanze (almeno in Italia). Eppure anche Renzi fiuta l’occasione, perché del resto l’Expo non è suo e lui potrebbe arrivare giusto in tempo per metterci una pezza e fare la figura del salvatore della patria. L’unico che non beneficerà della spinta delle inchieste è giocoforza Silvio Berlusconi, oramai troppo compromesso e costretto a far da spettatore mentre alcuni dei suoi uomini (Scajola, Dell’Utri) finiscono agli onori delle cronache giudiziarie. Discorsi e speculazioni che per ora sono solo ipotetici, ma che tra meno di due settimane diverranno verdetti su cui ragionare. Con le elezioni europee vicine avremo una prima indicazione sull’impatto delle ultime inchieste sulla politica, così da sapere chi beneficerà maggiormente dell’ennesima grassa occasione servita dal malaffare italiano.