Giancarlo Siani: condannato a morire

Aldo Bianchini

Sono da poco passate le ore 22.00 del 23 settembre del 1985 e dalla redazione di Via Chiatamone de “Il Mattino”  prima di chiudere il giornale un cronista alza la cornetta del telefono per l’ultimo giro di nera. <C’è qualcosa per noi> chiede il giornalista al poliziotto di turno al 113 che risponde: “Dottò, conoscete Siani? E’ stato ammazzato nella sua auto a piazza Leonardo al Vomero”, così, in maniera sconcertante e drammatica, giunse la notizia nella redazione che Siani aveva frequentato per cinque anni da “collaboratore esterno” nell’attesa di un’assunzione che non sarebbe mai arrivata. E come tutte le cose che accadono a Napoli anche la morte di Giancarlo Siani fu subito, e per anni, sepolta da una coltre di polvere che definire imbarazzante è dire poco. Eppure Giancarlo, che da quattro giorni aveva compiuto ventisei anni, era stato ammazzato da un vero e proprio commando costituito da Armando Del Core, Ciro Cappuccio e Ferdinando Cataldo mandati al Vomero da due “assi di bastone” del calibro di Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante; tutti e cinque condannati all’ergastolo con sentenza passata in giudicato in maniera defintiva dopo molti anni dall’orrendo delitto. Per diverso tempo in tanti continuarono a dire che il cronista era stato ucciso per una “questione di donne, di uomini, di beghe personali”; evidentemente le verità che aveva scoperto erano di una portata veramente devastante che il coraggioso cronista non ebbe neppure il tempo di riflettere e, forse, di capire come doveva gestire quel ciclone che probabilmente aveva intercettato tra Via Palizzi di Napoli e l’hotel Belvedere di Torre Annunziata sulle pendici del Vesuvio (dove lo stesso cronista era nato e lavorava pur risiedendo da tempo a Napoli). Negli anni si è parlato di lotte intestine tra le più grandi famiglie malavitose del napoletano come i Gionta e i Nuvoletta che incominciavano a lasciare il passo a quelle di Galasso e Alfieri. Alcuni spaccati di verità sono stati evidenziati da diverse inchieste giudiziarie, alcune delle quali condotte da Apicella e Greco, che negli anni successivi portarono anche ad arresti clamorosi di politici, magistrati e malavitosi; ma tutte queste verità sono, ovviamente, distaccate l’una dall’altra e non danno un quadro completo della realtà e di cosa realmente avvenne in quegli anni in cui, finita l’epopea di Raffaele Cutolo, le quattro grandi “famiglie” sopravvissute cercavano l’affermazione totale e non consentivano a nessun di fermare la loro escalation che andava di pari passo con l’affermazione politica di personaggi che, poi, per almeno un decennio, hanno gestito la cosa pubblica dell’intera regione Campania; almeno fino all’inizio di tangentopoli. I tanti segreti scoperti rimarranno per sempre nella mente di Siani trovato e ritratto riverso sul volante della sua Citroen Mehari decappottabile, e con la guancia sinistra rigata da un rivolo di sangue. Il sacrificio di Giancarlo, credo, non sia valso a niente e a nessuno; era stato condannato a morte ed è stato giustiziato sotto gli occhi di tutti, che non avevano visto niente e che non  hanno imparato niente. E da allora non è cambiato proprio nulla, sono mutate soltanto le tecnologie. Premi, libri e film non basteranno certo a ripagarlo per il grande sacrificio di aver donato la propria vita alla disperata ricerca della verità, di tutta la verità, di nient’altro che la verità. Parole che gli piacevano tanto e che non ebbe mai la possibilità di pronunciare in tribunale all’inizio di quella che poteva essere la deposizione della più grande tangentopoli della storia della camorra, e che non è stata.