Datagate: un problema europeo?

Amedeo Tesauro

Che ci fosse dell’altro lo si era capito. Certo, Snowden e il Guardian che espone le sue rivelazioni avevano già svelato tanto mostrando quanto capillare ed efficace fosse il sistema di controllo statunitense, eppure c’era dell’altro. I leader dei maggiori paesi mondiali, Merkel in primis come venuto fuori recentemente, erano spiati dall’agenzia di sicurezza nazionale (NSA), generando un dibattito che dopo un primo momento di shock si è spostato come ovvio sul piano etico. Quando infatti si è scoperto del poderoso programma cattura-comunicazioni adottato dagli americani, il primo pensiero è stato per la nostra privacy in pericolo, la prova definitiva che possiamo essere facilmente intercettati e schedati come nei migliori film di James Bond. C’è stata anche tanta ipocrisia in proposito, di chi si è sorpreso delle possibilità tecniche a cui la tecnologia è arrivata, ignorando i basilari principi della comunicazione per cui ogni informazione inviata arriva da qualche parte, suscettibile ad intercettazioni. Ora, in un’ipotetica fase due, l’attenzione si sposta, non più concentrandosi su ciò che significa essere potenzialmente in balia dei potenti mezzi degli apparati governativi, ma interrogandosi sulla legittimità di certe pratiche di spionaggio. Ecco pure che il Datagate diviene un problema non per ciò che significa, che immaginavamo ma di cui ora abbiamo certezza, ma si attesta come problematica relazionale tra i governi, nell’ambito di quei rapporti ambigui che i paesi tessono tra loro. La Merkel furiosa, i francesi sbigottiti, gli italiani in cerca di spiegazioni, alleati e avversari vanno all’attacco per l’offesa subito e per l’atteggiamento inqualificabile tenuto. Un tripudio di frasi scontate e anche qui decisamente ipocrite. Difatti, come alcune testate statunitensi hanno sottolineato, il peccato non è in ciò che gli Stati Uniti hanno fatto, ma nell’approssimazione con cui è stato portato avanti. Perché invero si è sempre spiato il nemico e tanto più l’alleato, per verificarne la fedeltà, e a tal proposito la casistica dello spionaggio è così ricca da aver creato una vera e propria mitologia. “Tutto lo fanno, ma se ti beccano in flagrante te ne assumi le colpe”, così si potrebbe riassumere l’intera operazione ora che il Datagate riguarda i governi e non i rischi alla nostra privacy. I media americani, infatti, stanno dedicando spazio ridotto alla vicenda, presi da altre mille problematiche, e tutto ciò su cui recriminano è la pochezza in termini di gestione del progetto: Snowden non era un pezzo grosso, se aveva accesso a certe informazioni le avevano anche tanti altri, con buona pace dell’idea basilare per cui la segretezza è tutto. L’indignazione del resto del mondo poco conta, gli statunitensi considerano perfettamente lecito spiare alleati e nemici, come si è sempre fatto, e quell’indignazione principalmente europea appare loro ingiustificata. Tanto vale allora concentrarsi su ciò che inizialmente era il cuore dello scandalo: la nostra sicurezza. Qualcuno si pone più il problema? Non gli americani, le cui vicende storiche hanno portato ad un compromesso che a quanto pare soltanto noi europei riteniamo indecente. Difatti gli americani hanno scelto di rinunciare alla privacy per avere maggiore sicurezza, segnati dai fatti del 2001 e dalla successiva guerra al terrorismo. La loro scelta l’hanno fatto da tempo, e pare che del ciclone Datagate gli unici rimasti a preoccuparsi siamo noi europei.