La Sindrome da istituzionalizzazione

 Giovanna Rezzoagli

Il medico francese Philippe Pinél (Parigi 1745-1826) affermò che il regolare e l’organizzare la vita dei malati di mente all’ interno di strutture che fossero in grado di curare e non più solo di “contenere” ed “alienare”, fosse da considerarsi la metodologia terapeutica più produttiva.Lo psichiatra francese Jacques Lacan (Parigi 1901-1981) combatté con accanimento, a tratti fortemente polemico, il sistema istituzionalizzante utilizzato dalla società per la cura del Paziente psichiatrico.In Italia lo psichiatra Franco Basaglia (Venezia 1924-1980), maggiore esponente del movimento antipsichiatrico, contribuì al rinnovamento della psichiatria e tentò una trasformazione radicale dell’ assistenza manicomiale, che portò nel 1978 alla promulgazione della Legge 180, la quale determinò la chiusura degli Ospedali Psichiatrici sostituendoli con centri di igiene mentale, e la creazione di reparti di psichiatria all’ interno delle strutture ospedaliere presenti nel territorio.L’applicazione di questa legge è stata accompagnata da molte difficoltà e da molteplici polemiche, legate sostanzialmente al reinserimento familiare e sociale di Pazienti con alle spalle periodi di alienazione a volte molto lunghi. Il lavoro di Basaglia ha ricoperto una rilevanza fondamentale nel moderno trattamento della patologia psichiatrica. Rifiutando l’idea stessa di trattamento coattivo imposto dalle autorità competenti in modo indiscriminato, Basaglia ritenne che alla base del disturbo mentale andassero a ricoprire importanza eziologica i condizionamenti e le contraddizioni sociali, e che, pertanto, la guarigione o, quanto meno, il decorso migliorativo del quadro clinico, presupponesse il superamento dell’ alienazione. Basaglia denunciò inoltre il carattere repressivo, ideologico e la concezione costrittiva e non terapeutica delle istituzioni psichiatriche, ch rispondevano maggiormente ai bisogni di sicurezza e di perfezione sociale che non alle oggettive necessità del paziente psichiatrico. Ebbe così forte impulso il reinserimento del paziente nella vita sociale la quale, in senso etico, dovrebbe appartenere a tutti in eguale misura.L’internamento sino a pochi decenni fa è stato considerato il principale strumento di identificazione sociale del folle, e lo psichiatra il professionista che di elezione valutava la pericolosità del malato nei confronti della comunità. I processi sociali, di fatto, organizzati pertanto per il riconoscimento, l’accettazione ed il trattamento della malattia messo in opera da parte di uno o più individui ricoprenti ruoli specifici può rendere “sociale” la definizione di malattia mentale e produrre quindi il ruolo di paziente. La struttura per la terza età è una inevitabile allocazione di un essere umano allorché non è più possibile una sua permanenza nell’ambito sociale e/o familiare. E’ un luogo dove alle problematiche di natura strettamente fisiche si sovrappongono fattori che già di per sé predispongono l’avvento della sindrome da istituzionalizzazione in un soggetto. Sotto il profilo del problema sociale, l’anziano ha sostituito il malato psichiatrico.La struttura per la terza età, è pertanto una realtà più complessa di altre realtà istituzionalizzanti come la reclusione in carcere, le situazioni che portano all’accoglienza di un minore in un Istituto, le scelte di vita legate al modello socio-culturale in cui il soggetto è inserito (ad esempio l’intraprendere una carriera nelle Forze dell’Ordine o dell’Esercito, ma anche l’adesione ad ordini monastici e sacerdotali o l’appartenenza a gruppi religiosi integralisti). Sono tutti aspetti da ricondursi all’eziologia sociale della sindrome da istituzionalizzazione. Occorre ancora tenere presente inoltre che l’anziano istituzionalizzato ancora autonomo, non è solo privato della libertà, ma è anche sottoposto ad una continua sorveglianza, attiva e/o passiva, che preclude ed inibisce l’autonomia personale. Persino il possedere oggetti personali può essergli impedito.L’essere umano ha necessità di gestire un proprio spazio; la prossemica (disciplina che studia l’organizzazione dello spazio come sistema di comunicazione) evidenzia molto chiaramente che i confini, i contorni, le zone che ogni essere umano “disegna” attorno a se stesso, hanno significati profondi e radicati. La violazione pressoché costante di questi “confini invisibili” inevitabili in una struttura per la terza età, induce l’insorgere della sindrome da istituzionalizzazione. La sindrome da istituzionalizzazione è una condizione psicopatologica che è possibile riscontrare sia in soggetti sottoposti ad una lunga permanenza in istituzioni chiuse (come case di cura, ospedali psichiatrici, prigioni, orfanotrofi) sia anche in soggetti la cui struttura di vita sia improntata al rispetto di rigide e restrittive regole comportamentali (come ad esempio appartenenti ad ordini religiosi, sette, comunità isolanti, gruppi familiari problematici). E’ denominata in Letteratura come “nevrosi istituzionale” ed è generalmente caratterizzata da chiusura in se stessi, indifferenza verso il mondo esterno, apatia, regressione a comportamenti infantili, atteggiamenti stereotipati, rallentamento ideico; è inoltre possibile che il soggetto elabori convinzioni deliranti di tipo consolatorio: i cosiddetti “deliri istituzionali” (ideazioni di cui il soggetto è radicalmente convinto ma che non presentano riscontri nella realtà oggettivabile). E’ utile sottolineare che questa sindrome si può manifestare sia in soggetti che al momento dell’istituzionalizzazione siano affetti da altre patologie (di tipo organico e/o di tipo psichico) che in soggetti le cui condizioni di salute siano oggettivamente definibili ottimali. Elemento comune alle situazioni che possono predisporre l’insorgere di questa patologia è la limitazione delle libertà individuali. In termini di analisi di convivenza sociale si può affermare che anche l’educazione e il conformarsi alle regole di civile convivenza possono essere considerati elementi istituzionalizzanti. L’epoca in cui viviamo appare afflitta da una forma di anomia morale di cui chi si occupa di problematiche sociali non può non tenere conto.