La teatralità napoletana


Giuseppe Lembo

Un vecchio detto: “Vedi Napoli e poi muori”. Un detto lontano, ma attuale e presente ancora oggi. Un detto che richiama la teatralità di Napoli, i suoi mali, il suo disagio, le sue umane sofferenze, parte di un copione che si rinnova con le sue caratteristiche di sempre. L’anima di Napoli è fatta di contraddizioni; di tante contraddizioni. Napoli è come un pendolo che oscilla tra la voglia di riscatto e la disperazione endemica; tra le tante aspettative e le criticità asfissianti che non ti permettono di pensare positivo, in quanto è difficile tutto; è, tra l’altro, difficile non solo vivere e pensare ad una vita di qualità; ma è difficile anche sopravvivere, arrangiandosi giorno dopo giorno, secondo schemi collaudati di un pensare comune, assunto a modello di vita. Napoli è la città dei tanti vizi; purtroppo sovrastano le virtù che sono sempre meno e sempre meno ricercate dal mondo dei napoletani traditi ed assolutamente indifferenti a vivere da virtuosi. Napoli è un grande palcoscenico; un palcoscenico di vita sul quale gli attori sono i napoletani con la loro teatrale quotidianità, con il loro dramma di senza lavoro, di miseria, di degrado e di futuro negato soprattutto ai giovani traditi dalla vita; non avendo altre prospettive, ben volentieri si buttano nelle braccia della camorra, diventando così, protagonisti di violenza dalle mani insanguinate. Napoli è, tra l’altro, la città delle contraddizioni; dal degrado delle periferie, si passa al centro antico, ricco di fascino e di godimento per le sue tante bellezze artistiche. L’identità napoletana è sempre uguale; non può cambiare, non può subire rivoluzione. È e deve essere solo e sempre quella che è. Svolte e cambiamenti sono inattuabili a Napoli, proprio per effetto dell’identità napoletana. Valenzi prima e Bassolino dopo, avevano pensato al cambiamento; è rimasto, come sempre, anche questo, solo un cambiamento promesso, un cambiamento sognato, pensato, ma assolutamente inattuato. Napoli, ieri come oggi, mette sulla scena se stessa, recitando sempre lo stesso copione. Un grave disagio napoletano è dovuto anche al ruolo della borghesia napoletana che si è ormai ritirata all’Aventino, abdicando al suo ruolo di governo della città. La borghesia napoletana di oggi soffre dei vizi comuni a gran parte della gente del Sud; è fatta di egoisti, assolutamente difficili da aggregare. Diversamente dal ruolo esercitato al Nord come borghesia-impresa, la borghesia napoletana e meridionale in genere, è fatta da un insieme di professionisti che dispongono di una rendita per cui egoisticamente pensano solo ai fatti propri. Che fare per cambiare? Ci viene incontro un pensiero politico del 1953 espresso da Gaetano Salvemini: “Bisogna dare vita ad un’alleanza di uomini illuminati, esperti ed onesti che si uniscono al di sopra dei partiti per accordarsi sui problemi concreti e, di volta in volta, cerchino le forze necessarie per risolverli”. Ma Nespoli ed il Sud più in generale devono, giorno dopo giorno, fare, purtroppo, i conti con il pensiero di Benedetto Croce: “Talvolta popoli civili si imbarbariscono, si inselvatichiscono, si animalizzano o ridiventano bestie feroci e tornano alla natura”. Sono questi gli scenari di Napoli e del Sud. Che fare?