Il giornalista italiano suo ruolo nella società

Giuseppe Lembo

Oggi il giornalista italiano, dopo 50 anni di appartenenza alla categoria, mi dispiace dirlo, è sempre più un tuttologo, del tutto indifferente al comunicare autentico e ad interpretare i bisogni dell’uomo del nostro tempo che, nel corso della propria vita, deve intelligentemente essere formato e guidato, facendo leva sui supporti culturali e comunicativi che gli devono venire dalla società. Il giornalista italiano, fuori dai canoni propri di una professione utile all’uomo, assume inopportunamente atteggiamenti fondamentalisti, spesso fanatici, poco autentici ed assolutamente irrispettosi del lettore, consumatore terminale della carta stampata, con tali e tante notizie scritte, che ne affollano le pagine, ma non si sa per chi. Il giornalista italiano, soprattutto quello della carta stampata, sguazza compiaciuto nei tanti gossip italiani e veste illegittimamente i panni del giustiziere, paladino poco autentico di una giustizia sommaria che si compiace di sbattere il mostro in prima pagina e decretarne in modo irreversibile e senza appello, la condanna.Il giornalista italiano, ricopre un ruolo sempre più improprio e sempre meno gradito al pubblico dei lettori che si assottigliano di giorno in giorno, decretandone la morte sicura. È così tanto anomala ed irreale la stampa quotidiana del nostro Paese che, per sostenere la pletora dei tanti giornalisti, falsi predicatori, deve ricevere un ben sostanzioso contributo pubblico; per qualche testata privilegiata, arriva alla ragguardevole somma di oltre 15 milioni di euro. Ma a che serve tenere in piedi una categoria di giornalisti che non produce comunicazione autentica? Tra l’altro, non sa esprimersi liberamente, senza schierarsi e diventare faziosamente sostenitrice di questa e/o quella parte politica. Gli italiani non gradiscono i talebani italiani della carta stampata; gli italiani, in alternativa, vorrebbero dei giornalisti culturalmente liberi ed interpreti dei bisogni della gente.  Comunicare significa capire l’uomo; seguirne il corso della vita ed aiutarlo ad amare l’altro, ad amare la libertà, lungo un cammino autenticamente universale che si chiama pace. Questo è il primo principio ispiratore delle cose dette a mezzo stampa e di un comunicare autentico che necessariamente è per l’uomo nella sua centralità di tutte le cose e di tutti gli eventi umani. Questo è quanto deve promuovere ed interpretare autenticamente il giornalista italiano. Questo è il cammino da cui partire e da percorrere intelligentemente, fino in fondo. Il falso comunicare, prodotto da falsi giornalisti, sempre più spesso faccendieri prestati alla professione, non giova a nessuno; il lettore dei giornali paziente e fiducioso, vuole ancora continuare a credere nel giornalismo per la gente. Ma, considerato di come vanno le cose, è veramente stanco di credere ancora nella libera carta stampata, animata da un unico ed inconfondibile dovere etico che è quello della verità, della libertà, della cultura e dei valori universali dell’uomo. Questo è il vero lievito per fare informazione per la gente. Chi deroga usandolo male e/o non usandolo proprio, produce un pane “senza criscito”, assolutamente azimo e poco gradito alla gente che, infastidita, tradita, violentata nelle sue libertà, rifiuta il comunicare poco autentico e sempre più plagiato da invadenti “inutilità” di pensiero di giornalisti, poco attenti ai bisogni degli altri e sempre più attenti a se stessi, al proprio protagonismo, alla propria disperata voglia di fare carriera a tutti i costi. Voglio essere veramente essenziale nel rivolgermi ai colleghi giornalisti, per i quali conservo tutto il rispetto umano che meritano. L’essere critico non è un peccato mortale. Spesso è uno stato di necessità assoluta. Oggi più che mai è veramente inopportuno vivere di finzioni, facendo credere a tutti che tutto va bene, anche se così non è. I mali, tutti i mali umani e sociali, compresi quelli delle professioni, per liberarsene, per superarli, vanno affrontati a viso aperto, come sto facendo io per la mia amata professione di giornalista, alla quale mi lega profondamente un libero atto di fede di profonda umanità, di rispetto degli altri e di libero pensiero per un libero pensiero dell’uomo della Terra che merita sempre ed ovunque una vita libera, senza le violenze ed i condizionamenti di chi lo vuole schiavo del mondo. Il giornalista deve capire questo ed operare come un vero e proprio apostolo della professione al servizio dell’uomo per farlo crescere culturalmente ed umanamente. Oggi il giornalista italiano in linea di principio non è questo; ha dimenticato il “perché” della sua professione che ha il grande obiettivo di essere al servizio della gente, producendo saperi e conoscenza utili strumenti di crescita dell’uomo, soprattutto in tempi difficili come i nostri, dove c’è smarrimento ed incertezze che non aiutano a camminare insieme, non aiutano a ricercare la giusta via per l’uomo della Terra, profondamente ammalato di se stesso.Tanti, troppi sono i mali antropici dell’uomo italiano e del nostro tempo più in generale; sono mali profondi che l’uomo si crea, facendosi male, ma di cui non sa poi come guarire. Familismo, egoismo, mito di se stesso, senso assoluto del dominio di sé estremizzato al punto di diventare l’espressione infelice dell’Io mondo, violenza verso l’altro, senso del potere e del possesso per sé oltre il necessario, sono l’espressione dei mali del nostro tempo.