Arnaldo Amabile
Pubblicata sul neonato (allora…) quotidiano salernitano Il Giornale, diretto da Roberto Ritondale, con Carlo Apolito direttore editoriale, la vignetta celebrava il Cavaliere di Gran Croce Alfonso Menna, sindaco di Salerno dal 10 luglio 1956 al 10 ottobre 1970, intento a spegnere le 106 candeline del compleanno. Di Menna, morto all’età di 108 anni, desidero pubblicare il ricordo tracciato dall’illustre giornalista amalfitano Gaetano Afeltra:
“E’ scomparso a Salerno all’età di 108 anni Alfonso Menna, sindaco della città per quindici anni. Nel 1954, quando un nubifragio colpi in modo drammatico quella parte del Sud, la sua opera di soccorso suscitò l’ammirazione del Paese. Menna riuscì a trasformare una disgrazia in un’occasione per salvare la sua città dalla depressione. Ci riuscì rianimandola al punto di farla denominare la “Torino del Sud”, unica città che offriva lavoro ai disoccupati delle zone limitrofe. Nel corso degli anni le sue benemerenze sono state tante, ma a me è caro ricordare un episodio della sua vita dove rifulge il rispetto, la gentilezza e la nobiltà del suo cuore. Lo sbarco alleato a Salerno avvenne l’8 settembre del 1943. Dopo, da Pescara, arrivò anche Badoglio col suo governo. Arrivò anche il re. Era ospite a Vietri sul Mare, sopra Raito, nella villa dell’ambasciata Guariglia. La mattina presto si vedeva spesso Vittorio Emanuele con il cappello di paglia a larghe tese andare a pescare con la lenza in compagnia di un vecchio pescatore. Le rare volte che passeggiava nei dintorni della casa in compagnia della regina Elena, tanto più alta e maestosa, il re appariva cupo. La loro vita era modesta non solo per le circostanze difficili ma anche per vecchie abitudini di parsimonia. Pure la mensa era frugale. A quel tempo Menna era commissario per l’alimentazione. Ogni giorno a Villa Guariglia arrivava una cassetta di frutta e di verdura: roba semplice, arance, limoni, patate, cicoria, insalata. Un’attenzione che il commissario all’alimentazione riservava ai sovrani, in un’ora in cui la loro stella era già’ al tramonto. Ogni due o tre giorni, con la cassetta di frutta e verdura c’era anche un mazzo di fiori: omaggio discreto di Menna alla regina. Fino allora Menna non aveva mai avuto rapporti diretti con i sovrani: i ringraziamenti gli giungevano attraverso un ufficiale. Un giorno, invece dell’ufficiale arrivò un gentiluomo di corte: il re e la regina avrebbero avuto il piacere di ringraziarlo di persona. Menna stesso mi raccontava: “Andai a Villa Guariglia col mio abito migliore. La regina mi venne incontro lentamente, con un lieve sorriso. Mi colpì la tristezza pensierosa di quel volto e mi sorprese che avesse le mani ruvide come quelle di una donna abituata ai lavori domestici. Erano mani che sembravano rivelare carattere, orgoglioso ma umile. Mi disse: “Mio marito e io sappiamo delle sue premure e vogliamo ringraziarla”. Mi regalò un paio di gemelli d’oro, con lo stemma dei Savoia, proprio gli stessi che portavano i gentiluomini di corte. Poi mi accompagnò dal re e si ritirò. “Mi apparve un viso emaciato, vecchissimo, come segnato da un’angoscia al di sopra di ogni capacità di sopportazione. Il re indossava una giacca da camera di raso verde scuro. Quando entrai si alzò di scatto dalla sedia e girò intorno alla scrivania con passi brevi e nervosi, venendomi incontro. Mi strinse la mano, dicendo “Grassie! Grassie!”, in piemontese. Nient’altro. E ancora “Grassie, grassie!”, sei, sette volte. Poi, silenzio. “Era una situazione imbarazzante. Sul tavolo di lavoro vidi un foglio scritto a metà’. Accanto c’era una piccola pila di fogli uguali, con lo stemma di Casa Savoia, zeppi di scrittura fitta e minuta. Gli chiesi se era vero che stava scrivendo le sue memorie. Rispose a voce bassissima, quasi farfugliando: “Si’, scrivo, scrivo da mattino a sera…”. Il tutto durò pochi minuti. Tanto che non mi invitò neanche a sedermi. Alla fine mi congedò, ripetendo ancora “Grassie, grassie di tutto”