La Voce e la Vita della Chiesa: ”Pilastri della Quaresima, Preghiera, Astinenza e Carità“

La Voce e la Vita della Chiesa: ”Pilastri della Quaresima, Preghiera, Astinenza e Carità“

Diac. Francesco Giglio

Ancora una volta la Chiesa ci invita e ci esorta a compiere in questa Quaresima 2023, un cammino di conversione. Ci chiede di fare silenzio dentro ed intorno a noi per predisporci  all’incontro con il Padre e riprendere quel dialogo che forse per tanti motivi abbiamo interrotto. Ecco allora la necessità del silenzio, di metterci in ascolto della Parola di Dio e di aprire il nostro cuore alla preghiera, al digiuno e ai gesti di carità. Sforziamoci di non far prevalere su di noi l’azione del maligno, che ha come finalità quella di scardinare dai nostri cuori la Parola che salva. Questo periodo particolare dell’Anno Liturgico dovrebbe servire a farci riscoprire quanto è bello liberarsi dalle schiavitù e dalle catene, com’è bello riprendere il cammino verso la casa del Padre e vivere quotidianamente il nostro esodo terreno. Sforziamoci  di ridare il vero significato al nostro vivere da cristiani, Figli di Dio, e scopriremo che, solo alla luce della Pasqua di Cristo e mediante la nostra fede in Lui, potremmo essere salvi ed entrare pienamente nella comunione trinitaria. Papa Francesco ci ricorda che: Pregare non è come prendere un’aspirina per sentirsi meglio; non è neppure chiedere qualche cosa a Dio per ottenerlo: questo è fare un negozio. La preghiera è la migliore arma che abbiamo, la più grande forza della Chiesa e la chiave che apre il cuore di Dio”. La preghiera ha ricordato, “è una forza che muove il mondo. Non è una buona pratica per mettersi un po’ di pace nel cuore; e nemmeno un mezzo devoto per ottenere da Dio quel che ci serve. È un’opera di misericordia spirituale, che vuole portare tutto al cuore di Dio e un dono di fede e di amore di cui c’è bisogno come del pane. Se non si prega, si rischia di appoggiarsi altrove: sui mezzi, sui soldi, sul potere; poi l’evangelizzazione svanisce, la gioia si spegne e il cuore diventa noioso. La preghiera  fa miracoli”.

Il digiuno e l’astinenza – insieme alla preghiera, all’elemosina e alle altre opere di carità – appartengono, da sempre, alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa. Nella penitenza è coinvolto l’uomo nella sua totalità di corpo e di spirito. Digiuno e astinenza non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità della persona. Il digiuno e l’astinenza devono avere un’anima autenticamente religiosa, anzi cristiana. Per questo, occorre riscoprirne l’identità originaria e lo spirito autentico alla luce della parola di Dio e della viva tradizione della Chiesa. Il digiuno e l’astinenza, infatti, rientrano in quelle forme di comportamento religioso che sono costantemente soggette alla mutazione degli usi e dei costumi. Il digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. È vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza. Ricorda però  la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l’importanza e ne indica lo spirito e lo stile secondo cui viverlo. Quaranta giorni di digiuno precedono il combattimento spirituale delle «tentazioni», che Gesù affronta nel deserto e che supera con la ferma adesione alla parola di Dio: «Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio“» (cfr. Mt 4,4). Con il suo digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza, in filiale obbedienza al Padre e in servizio d’amore agli uomini. Digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre «che è nel segreto» e «che vede nel segreto» (cfr. Mt 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli. Il riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per definire il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, come di ogni altra forma di mortificazione: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (cfr. Mc 8,34). È infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza. Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza spingerà i credenti non solo a coltivare una più grande sobrietà di vita, ma anche ad attuare un più lucido e coraggioso discernimento nei confronti delle scelte da fare in alcuni settori della vita di oggi: lo esige la fedeltà agli impegni del Battesimo.

I cristiani sono chiamati dalla grazia di Cristo a comportarsi “come i figli della luce” e quindi a non partecipare “alle opere infruttuose delle tenebre”(cfr. Ef  5,8-11). Così, praticando un giusto digiuno in questi e in altri settori della vita personale e sociale, i cristiani non solo si fanno solidali con quanti, anche non cristiani, tengono in grande considerazione la sobrietà di vita come componente essenziale dell’esistenza morale, ma anche offrono una preziosa testimonianza di fede circa i veri valori della vita umana, favorendo la nostalgia e la ricerca di quella spiritualità di cui ogni persona ha grande bisogno.

Una delle pagine più belle del Nuovo Testamento e di tutta la Bibbia è il cosiddetto “inno alla carità” dell’apostolo Paolo (cfr.1 Cor 12,31-13,13). Nella sua Prima Lettera ai Corinzi, Paolo mostra la “via” della perfezione che non consiste nel possedere qualità eccezionali: parlare lingue nuove, conoscere tutti i misteri, avere una fede prodigiosa o compiere gesti eroici. Consiste invece nella carità – agape – cioè nell’amore autentico, quello che Dio ci ha rivelato in Gesù Cristo. La carità è il dono “più grande“, che dà valore a tutti gli altri, eppure “non si vanta, non si gonfia d’orgoglio”, anzi, “si rallegra della verità” e del bene altrui. Chi ama veramente “non cerca il proprio interesse, “non tiene conto del male ricevuto“, “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (cfr. 1 Cor 13,4-7). Alla fine, quando ci incontreremo faccia a faccia con Dio, tutti gli altri doni verranno meno; l’unico che rimarrà in eterno sarà la carità, perché Dio è amore e noi saremo simili a Lui, in comunione perfetta con Lui. Per ora, mentre siamo in questo mondo, la carità è il distintivo del cristiano. È la sintesi di tutta la sua vita: di ciò che crede e di ciò che fa. Papa Benedetto XVI, nella sua lettera apostolica “ Porta fideici ha detto: “ la fede deve essere vista come porta, relazione, incontro e pellegrinaggio di vita con il Signore e deve essere esercitata tutti i giorni della nostra vita. Se in noi è forte la fede, allora saremo capaci di superare le prove della vita, il peccato ed il male e dimostreremo al mondo che il Signore è la nostra forza”.

Nessuno di noi può dire di non essere stato mai tentato nella vita, di non aver dovuto fare delle scelte, oppure di non aver dovuto superare dei momenti di sconforto o di scoraggiamento; il periodo quaresimale, quindi, viene incontro a noi quale momento propizio per riscoprire che Gesù è la perfetta rivelazione della santità e misericordia del Padre. Papa Francesco ci ricorda nella sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium  (n.276): “ È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità inizia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto ”. Facciamo, del nostro cammino quaresimale, un forte momento di verifica e di presa di coscienza, impegnandoci a trasformare noi stessi ed il mondo che ci circonda in una fiduciosa attesa del nuovo e del bello.  Con le parole di S. Agostino chiediamo al Signore di  “essere obbedienti senza ribellione, poveri senza avvilimento, casti senza decadimento, pazienti senza mormorazione, umili senza finzione, allegri senza ilarità, maturi senza pesantezza, agili senza leggerezza, timorosi di Dio senza disperazione, veritieri senza doppiezza, operatori di bene senza presunzione, capaci di correggere il prossimo senza asprezza e di edificarlo con la parola e con l’esempio, senza ipocrisia ”. Se facessimo questo potremmo dire di aver ben compreso il senso della Quaresima e potremmo con gioia annunziare che Cristo è “ la nostra luce e la nostra vita nuova  “.