La Voce e la Vita della Chiesa: come superare le prove della vita

Diacono Francesco Giglio

I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”.

Queste parole le troviamo nel cap. 55,8-9 di Isaia e ben si adattano alla momentanea situazione che stiamo vivendo. Il coronavirus, con le sue restrizioni pone alla nostra intelligenza due domande: perché sta accadendo tutto questo e che cosa dobbiamo imparare da questo avvenimento.

La prima riflessione da fare è quella di constatare che la umana presunzione, che ci ha portati a pensare che fossimo in grado di sconfiggere tutti i mali in quanto esseri superiori, ci vede essere sconfitti da una male che non può essere visto senza l’uso di un microscopio e quindi che la nostra grandezza è stata annullata da un essere milioni di volte più piccolo di noi. Avevamo  cambiato la parola “DIO” facendola divenire “IO”. Abbiamo creduto di essere i padroni del mondo ed invece ci siamo auto sconfitti. Pensavamo di essere potenti ed invece ci ritroviamo deboli. Ancora una volta “Davide ha sconfitto Golia”.

Per chi crede nasce la domanda: quanto tutto questo rientra nel piano salvifico di Dio? L’uomo non può allontanare dalla sua vita le prove, le delusioni, il dolore, la malattia, la tristezza e la morte, ma, con l’aiuto di Dio, questi possono divenire momenti di crescita spirituale, morale, sociale e anche rinnovamento e progresso. Purtroppo queste difficoltà, spesso ci inducono a lamentarci, a trovare un capro espiatorio, ad addossare agli altri la colpa fino a farci incattivire. In queste circostanze dobbiamo sforzarci di essere sempre noi stessi, rimanendo padroni dei nostri atteggiamenti, avere la prontezza di capire esattamente ciò che sta accadendo ed avere la capacità di reagire. E’ questo il momento di non scappare da noi stessi e dalle nostre responsabilità. Senza nascondere le nostre debolezze, ignorare la  paura e il dolore, la rabbia, la tristezza, l’impossibilità individuale di poter sconfiggere il male, le preoccupazioni e le ansie per il futuro, cerchiamo invece di reagire pur senza sottovalutare il difficile momento nel quale ci troviamo e ritrovare nella nostra vita tante altre cose che ci producono delle gioie e delle soddisfazioni che forse avevamo messo al bando. Recuperiamo il valore autentico della famiglia, dell’amore reciproco, dell’accoglienza, della solidarietà, della condivisione, dell’amicizia, del reciproco rispetto e della fratellanza. La separazione e il distanziamento dagli altri può aiutare a guardarci dentro e dare alla nostra vita delle nuove prospettive e la possibilità di individuare nuove soluzioni e nuovi modi di rapportarci con gli altri. Prendiamo in considerazione la necessità di trasformare la sofferenza in una straordinaria occasione di rinascita  umana, sociale e spirituale.

Tutti vorremmo avere una vita lunga e felice senza incidenti di percorso e di difficoltà, ma a volte questi momenti possono aiutarci a crescere e imparare a trasformare le difficoltà in occasioni ottimali per prendere coscienza delle proprie potenzialità e talenti, trasformandoli in vere e proprie occasioni di positive reazioni. Impariamo anche da questa situazione provocata dalla pandemia che, se la felicità è la mèta della nostra vita, possiamo mettere in pratica l’insegnamento di don Luigi Giussano che diceva: Pretendere la felicità nella vita è un sogno. Vivere la vita camminando verso la felicità è un ideale”.

La vita umana purtroppo presenta molte contraddizioni, paradossi, ingiustizie e disuguaglianze, per cui siamo aiutati dalla Sacra Scrittura a riflettere sulle parole di Isaia con le quali si apre questa riflessione scoprendo che “ la saggezza di Dio si differenzia da quella dell’ uomo”, perché il “Primo” ci chiede di crescere in virtù e santità, mentre il “secondo” spesso è attratto solo da una vita fatta di piaceri, agi, ricchezze e potere.

Dopo il lungo periodo di quarantena, ora, tutti sogniamo di tornare alla così detta “normalità”. Forse a molti sfugge la certezza che nulla sarà più come prima, perché se questo periodo di dura prova non ci ha fatto riassaporare i valori autentici della famiglia, dell’amicizia, della fratellanza, dell’amore, del rispetto vicendevole e della fede senza indurci a vivere le stesse modalità di vita attuate in passato, senza che queste vengano migliorate per il futuro a livello umano, sociale, civile e religioso, dobbiamo, con amarezza, constatare che forse abbiamo perso l’appuntamento con la storia. E’ necessario convincerci che saremo chiamati a vivere e testimoniare l’autenticità del nostro impegno nella comunità civile e religiosa, a tutti i livelli, per cui è auspicabile che professionalmente, deontologicamente, politicamente e religiosamente ognuno di noi si impegni a mettere a frutto quanto sperimentato con sofferenza in questo frangente ed esca allo scoperto e viva il futuro con il solo scopo di rendere questa meravigliosa “Terra” il luogo in cui tutti, nell’adempimento del proprio dovere in virtù del rispettivo stato di vita, si adoperi per il progresso e il benessere comune.

Se vogliamo come uomini e come credenti crescere e raggiungere la mèta finale e se veramente abbiamo a cuore non solo il bene del nostro ambiente ma, di quanti vicini e lontani, ci sono compagni in questa terrena avventura che conseguentemente ci invita ad un radicale cambiamento di vita e di comportamenti, dobbiamo necessariamente scegliere “la via più difficile”.

Noi credenti in questa particolare Quaresima abbiamo dovuto rinunciare a vivere, come comunità, i momenti forti della Settimana Santa, della Pasqua e di quello che S. Gaudenzio da Brescia nei suoi scritti (Trattati 2;CSEL 68,30-32) definiva il “il sacrificio celeste lasciatoci come dono da Gesù nella notte in cui veniva consegnato per essere crocifisso”. Egli, in quella notte ci lasciò il pegno della sua presenza comandando agli Apostoli (i primi sacerdoti della Chiesa) di celebrare sempre i misteri della vita eterna. È dunque necessario che i sacramenti siano celebrati dai sacerdoti nelle singole chiese del mondo sino al ritorno di Cristo dal cielo, perché tutti, sacerdoti e laici, abbiano ogni giorno davanti agli occhi la viva rappresentazione della passione del Signore, la tocchino con mano, la ricevano con la bocca e con il cuore e conservino indelebile memoria della nostra redenzione. Se questa privazione ci ha fatto riscoprire il valore e la necessità della presenza della Chiesa, dei sacerdoti e della Santa Messa, al termine di questa particolare prova dovremmo veder rifiorire una maggiore consapevolezza sia ministeriale che sacramentale di quanti, a vario titolo e gradi diversi nella Chiesa, esercitano un ministero ed un servizio e nei battezzati l’impegno ad essere come singoli che Chiesa testimoni autentici del Risorto.