La Voce e la Vita della Chiesa: “Ero carcerato e sei venuto a trovarmi…”

Diacono Francesco Giglio

In questi giorni si parla tanto di quanti sono stati colpiti dal Coronavirus, di quanti si adoperano per guarirli, dei tanti che sono morti, di coloro che vivono in situazioni di disagio e spesso ci si dimentica dei nostri fratelli e sorelle che vivono l’esperienza delle carceri. A noi non è data la possibilità di esser loro vicini, di poter alleviare le  loro pene e forse consolare il loro dolore. Sono separati non solo dal mondo ma anche dalle loro famiglie, per cui viene da pensare che questo particolare momento pandemico provochi in loro la sensazione di abbandono e di maggiore solitudine. Spetta quindi a noi far sentire la vicinanza e la fraternità proprio nel momento in cui come Chiesa ci prepariamo a vivere il Triduo della Settimana Santa. In quel triste giovedì anche Gesù subì l’arresto, il processo e la condanna e sul calvario fu associato ad altri due condannati, ma di uno di questi Gesù esaudì il suo desiderio: “ricordati di me quando sarai nel tuo regno!”. Se Lui il nostro Maestro ha fatto questo a maggior ragione noi, come singoli e come comunità, dobbiamo seguire il suo esempio e quindi anche noi “ricordarci di loro”. Facciamogli sentire che la doppia separazione dovuta sia al Coronavirus che alle sbarre che ci separano da loro non  impediscono di fargli pervenire la nostra fraterna ed affettuosa vicinanza. In unione con tutti quelli che stanno vivendo questa dolorosa esperienza di isolamento e di distanziamento, come fratelli e figli dello stesso Padre, Signore della vita, della pace e datore di libertà, con loro e per loro, preghiamo con le parole di questa accorata supplica:

 

Signore Gesù, io sono un carcerato,

avrei più tempo dei monaci certosini per pregarti…

ma tu sai quanto sia difficile pregare per un carcerato.

E’ difficile pregare e credere, quando ci si sente abbandonati dall’umanità.

Anche per te fu difficile pregare sulla croce e gridasti la tua angoscia,

la tua delusione , la tua amarezza.

“Perché, perché mi hai abbandonato?”

Un perché, che sulle tue labbra era diverso…perché tu eri “innocente”.

Anche tu fosti un carcerato, un torturato, un imputato e un condannato.

Ad un tuo compagno di condanna, pentito e fiducioso in Te, hai assicurato il Paradiso.

Lo hai proclamato Santo.

A Te Signore, vittima viva di tutte le ingiustizie commesse

dalla giustizia umana, rivolgo il mio grido.

Accettalo come preghiera.

Tu scusi, perdoni, dimentichi.

Io, però, non voglio essere commiserato da nessuno:

voglio che si creda in me, nella mia rigenerazione.

Non voglio rinunciare ad essere, voglio credere che almeno Tu,

il più giusto ed innocente dei condannati della storia

sarai capace di capire le mie lacrime, la mia rabbia.

Tu sei l’unico filo di speranza vera.

Signore Gesù, dammi la fede nella vera libertà che è dentro di me

e che nessuno può strapparmi.    Amen