Quel Frate sul Gargano… Padre Pio!

dott. Carmine Paternostro

In fila, in tacita attesa, attendevamo l’uscita del Frate da una porticina del vecchio Convento. Avveniva dopo la Messa o nel Pomeriggio. Molti speranzosi di un’assoluzione dal quel tribunale salvifico, chiamato confessionale, chinavano il volto in pensieri. Un frate alla porta fissava lo sguardo su noi, in timorosa ansia, trepidazione alla ricerca del peccato sfuggente, che avrebbe reso apparentemente severo quel Servo di Dio. Era un esame che ti desiderava contrito, realmente pentito. Ero bambino. Sarebbero seguiti altri anni di colpe, pentimenti. Ma quel Frate era lì. Sembrava una foto perenne, momenti scolpiti, immutabili. S’apre, improvvisa la porta. Sostenuto da un fraticello, avanza quel Vecchio dai passi stentati, chino sul dorso, quasi in sostegno di un peso accettato, una Croce (!), guanti corti, barba e capelli senili, come candida neve sul mondo.

Bambino irrequieto, trattenuto dalle braccia di mio padre devoto, osservavo curioso quei guanti. Volevo intravedere quei buchi nascosti, che perforarono le mani di Cristo. Curiosità infantile! Amavo la sua vicinanza, la sua presenza, che mi sembrava fugace. I tanti chiedevano qualche consiglio in ginocchio, baciavano timidamente la mano. Gli uomini erano più delicati, rispettosi. Le donne, con meno privilegi, afferravano il saio, cercavano di avvicinarsi alla sua santità con impeto inquieto. L’apparizione era sfuggente. Capisco, ora, i loro desideri, devozione… essere vicino ad un Santo… Lo attendevano a Messa, alle Novene, al saluto pomeridiano con il famoso fazzoletto, sventolante da una finestrella sull’orto. Ricordo bene quella nuda collina pietrosa, abitata da pecore, ove oggi giace la moderna basilica, con mille fazzoletti agitati, a contraccambiare il saluto.

Dall’Australia vennero alcuni parenti con bimbi. Il Frate, al passaggio, si fermò ad accarezzare quei bimbi, superandomi. Avrei desiderato quella carezza, fui invidioso. A lungo pensai che forse non meritavo attenzione, ai miei peccati, mancanze, monellerie, disobbedienze. Il volto del Frate, di quel Frate lo capii negli anni. Capii il significato di Confessione, Comunione, Messa, lo sforzarsi di non peccare, specialmente all’inoltrarsi di una gioventù frizzante e man mano che scoprivi te stesso. Capii quella severità in Confessione anche con me. Ne fui contento. Diventammo amici da quando non lo vidi più.

Nel Duomo di Salerno dissi che, per testimoniare su Padre Pio, bisognava fare riferimento a quattro lettere dell’alfabeto… come il nostro DNA: A: Amore, B: Bontà/Beatitudine, C: Carità, D: Doni di Dio/ Donarsi agli altri, quindi Fede.

Meditate su ogni parola.

Ho risalito quel monte più volte, ho solcato, nei primi anni 50, l’angusta strada pietrosa che saliva al Convento, ho pensato e implorato nel quotidiano. San Giovanni Rotondo? Un vissuto: prima Comunione di mio fratello dalle mani di Padre Pio. Era d’obbligo: fu Lui a dire a mio padre: ”chiamalo come me”, i lunghi viaggi annuali su trenini sbuffanti dell’epoca con genitori, mia sorella Maria. Vidi la “Casa Sollievo” nascente, i tanti volti di gente famosa ignorati, un indemoniato. Non fui presente a miracoli. Non mi servivano. La Fede è altro.

Infine, ricordo mia madre al congedo: “Padre Pio, portami dove vuoi tu!” e spirare. Raggiunse Claudio, fratellino volato precocemente in cielo ed il mio genitore, suo figlio spirituale, dallo sguardo più dolce, dal viso segnato da sofferenze, in sorriso.

Oggi, epoca di paure, Coronavirus, sereno, penso che si sta meglio con poco nel vivente accettato. Stiamo scoprendo lo sfumare di ogni nostra illusione che sembrava certezza. Abbiamo sfidato Dio!

L’arcobaleno è di colori fugaci. Il tempo ha fretta come la vita: il presente? Dov’è? E il passato? Il futuro? Non lo conosco.

Viaggiamo nell’infinito. Siamo nella mente di Dio!