Il “silenzio” di Dio

Francesco Giglio*

Signore, parla il tuo servo ti ascolta” (1Sam 3,9). Invito antico ma sempre attuale perché molte volte nella nostra vita sperimentiamo che Dio non ci parla. E’ il caso di chiederci: è Lui che non parla, o sono io che non lo ascolto? In questa situazione ci sono compagni molti santi che si sono sentiti anche loro soli ed abbandonati anche se: Dio non abbandona mai nessuno dei suoi figli. Spesso il silenzio è il “luogo” nel quale Dio ci aspetta: così riusciremo ad ascoltare Lui invece di ascoltare il rumore della nostra stessa voce. Dio a volte rimane in silenzio. Un silenzio apparentemente inattivo e indifferente alla nostra sorte, perché vuole farsi strada nella nostra anima. Egli che lasciato le 99 pecore nel recinto, va alla ricerca dell’unica pecora smarrita e non si da pace finché non la ritrova. Trovata, la prende in braccio, se la pone sulle spalle e felice del ritrovamento torna a far festa con le altre 99 (Mt 12-14: Lc15,3-7). Se quindi il “Bel pastore” si comporta così con la pecora smarrita, di conseguenza, non si può negare a chi lo invoca e lo cerca avendoci detto: ”Io sono il bel pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14). Quindi quando in noi affiora la mancanza della voce di Dio pensiamo al Padre misericordioso della parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32) che, in attesa, guarda lontano e scruta per vedere se quel figlio che se ne era andato sta per tornare. Solo allora il nostro cuore si allarga e si convince che anche se non sentiamo la sua voce Egli è sempre con noi poiché è nostro Padre. Se il silenzio di Dio procura dolore e forse anche sconforto, ci deve essere di aiuto il pensiero che Egli non è lontano da noi perché: ”Dio è sempre con noi”.  Dio Padre ha fatto con noi un’alleanza per sempre nel suo Figlio Gesù che ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28,20), anche nella fatica, nel dolore, e oltre la morte.

Anche Gesù sulla croce, sentendosi solo, gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni…”.  All’udire quelle parole alcuni dei presenti dicevano: “Ecco chiama Elia!(Mc 15, 34-35). Gesù, in quel momento, stava per precipitare nei due abissi estremi, il silenzio di Dio che non risponde alle sue invocazioni e la morte, una brutta fine secondo l’apostolo Marco e: “Lanciando un forte urlo, spirò” (15,37). Le sue ultime parole sono un grido angosciato che l’evangelista ci riferisce nella lingua popolare di allora l’aramaico, tratte dai primi versetti del Salmo 22. Con la sua preghiera sulla Croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46), Gesù “fa suo quel grido dell’umanità che soffre per l’apparente assenza di Dio e dirige questo grido al cuore del Padre”. Pregando così in quest’ultima solitudine, insieme a tutta l’umanità, Gesù, ci apre il cuore di Dio assicurandoci quando aveva già detto :” Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). Malgrado il silenzio del Padre, egli portò a compimento la sua opera di salvezza, confermando così che era venuto sulla terra per fare volontà del Padre (cfr. Lc 22,42).

Ci consoli quindi il pensiero che nel momento di massima sofferenza anche Gesù si sentì “abbandonato” pur essendo egli stesso Dio; lo stesso dolore che accusiamo noi nel sentirci, a torto, abbandonati. Potrà sembrare strano ma il “silenzio di Dio” è più rumoroso di quanto si possa pensare. E’ nel silenzio che l’uomo scopre i suoi limiti, la sua povertà e anche la sua debolezza. Ci siano di conforto le parole di San Paolo: “Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: <Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza>. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 7-10). Malgrado la spina però Paolo ha portato a termine la sua missione:”  Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”(2Tm 4,7-8).

In considerazione di tutto ciò ci deve essere di conforto il fatto che altri, più santi di noi, hanno sperimentato il silenzio di Dio, ma che alla fine, lo hanno incontrato e sono stati accolti con le parole:” Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore” (cfr. Mt 25,21). Dio <non turba mai la gioia dei suoi figli, se non è per prepararli a una gioia più sicura e più grande>.

A tal proposito Sant’Ignazio di Antiochia scriveva: “chi ha compreso le parole del Signore, comprende il suo silenzio, perché il Signore lo si conosce nel suo silenzio”. Il silenzio, quindi, è capace di aprire uno spazio nel profondo di noi stessi, per farvi abitare Dio, affinché la sua Parola rimanga in noi, e l’amore per Lui metta radici nella nostra mente, nel nostro cuore e animi tutta la nostra vita.

Ringraziamo Dio se ci tocca vivere questa forte esperienza di silenzio e di abbandono perché il silenzio è il primo passo verso l’incontro con Dio e sicuramente esso produrrà in noi la crescita della fede, il rafforzamento della speranza e la maturità della carità.

*Diacono permanente