7 volumi dedicati da don Franco Galeone a “I 12 profeti minori dell’Antico Testamento”

Paolo Pozzuoli

Sette i volumi di una collana – Copyright “L’Aperia Società Editrice – s.r.l.” in Caserta; Stampa “Universal Book s.r.l.” in Rende (CS) – che don Franco Galeone “occupando così santamente e culturalmente il tempo libero” ha dedicato a “I 12 Profeti minori dell’Antico Testamento”. Quando l’autore di un’opera è don Franco Galeone – e non lo diciamo per piaggeria e nemmeno perché non abbiamo smesso di camminare al suo fianco ricevendone insegnamenti e consigli fin dal primo momento in cui abbiamo avuto l’onore ed il privilegio di conoscere questo prete salesiano e poi, seguendolo sia nel suo ministero che in altre speciali occasioni abbiamo avuto modo di apprezzarne le molteplici e indiscusse qualità di filosofo geniale, oratore forbito ed eloquente, scrittore di classe, conferenziere brillante, di invidiabile raffinatezza culturale – non c’è alcun bisogno di presentazione, di evidenziarne la validità e la bellezza evidenti anche come pregevolezza e concretezza. Trattandosi però di opere particolarissime e di personaggi unici, che, pur avendo segnato altre epoche, remote, restano in un certo senso non solo attuali ma anche e soprattutto degni di essere studiati con acuto e sereno approfondimento. Che lasciamo all’attenzione del lettore nel pieno rispetto delle sue vitali qualità. Ci sia, tuttavia, consentito dire: a) La parola profeta (dal greco προφήτης-profétes, in latino prophèta-profèta) non vuole significare – come comunemente intendiamo – colui che predice il futuro bensì colui che è stato designato dal Signore a parlare in Suo nome per ammonire, redimere e recuperare coloro che si sono allontanati da Dio. Insomma, guai a non ascoltare la parola di Dio e soprattutto a non praticarla. In breve, attuarla, convertirsi. È un momento importante, il momento che ci porta indietro nel tempo spingendoci ai ricordi scolastici, agli insegnanti, alla famiglia, ai genitori quando avevano l’iniziale maiuscola: l’alunno discolo veniva messo faccia a muro, ‘a tempo’, il figlio monello, birichino, andava a letto senza cena. È il momento che esorta gli anziani a ricordare i tempi felici. Ecco, per chi si è allontanato da Dio è chiamato a superare prove dure, ostacoli insormontabili, una serie succedanea di eventi disastrosi, come dire, un’apocalisse non fine a se stessa, ma redentrice, salvifica, da cui si può risorgere: Dio è sempre vicino al suo popolo, non lo abbandona. C’è in tutto questo – ci domandiamo – un qualche riferimento allo scempio ambientale che stiamo vivendo, in uno alla contaminazione, allo stravolgimento della natura che ci è stata donata – l’abbiamo avuta gratis – e che abbiamo rovinato sia perché non ci è costata nulla sia perché non l’abbiamo amata abbastanza; b) Il termine ‘minori’ (Profeti minori):  va chiarito subito che non sono da intendersi nel senso di ‘cadetti’, più piccoli, più bassi, meno tenuti in considerazione, piuttosto per la brevità dei loro scritti, qualche capitolo, pochi versetti e pertanto in netta divergenza e contrapposizione con i ‘maggiori’, quattro (Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, tutti autori di un libro composto di 66, 52, 48 e 14 capitoli, rispettivamente). “Minori” – ricorda don Franco – “ma Dodici come le tribù d’Israel e richiamano pertanto l’identità dell’ebraismo; sono minori ma guardano lontano atteso che anche fuori d’Israel c’è la salvezza; sono minori ma annunciano l’utopia della pace e la signoria di Dio; i Profeti minori sono importanti, vanno conosciuti ed amati; fino ad oggi la ricerca esegetica storico-critica li ha trattati esclusivamente come scritti autonomi, senza tenere presente il fatto che nella tradizione, sia giudaica che cristiana, facevano parte di un solo libro, quello dei Dodici profeti; un approccio unitario consente oggi nuovi sguardi su questi scritti del corpus profetico e potrebbe essere l’inizio di un dibattito esegetico nel quale, al momento, prevalgono ancora le domande sulle risposte”. Dei sette volumi (tutti in 4 lingue: testo ebraico della Bibbia, greco della Septuaginta, latino della Vulgata, italiano corrente; “per alcuni nomi” – ha precisato l’autore – “soprattutto di persona, è stata operata la traslitterazione per dare facoltà al lettore di gustare la bellezza dei suoni del testo sacro originale”; “certamente si può leggere” – ha chiosato don franco – “l’infinito di Giacomo Leopardi in giapponese ma leggerlo in italiano è tutta un’altra musica/non è la stessa cosa”), uno è per Osea/il profeta della prostituta amata e redenta (197 versetti), un altro per Gioele/il profeta della conversione, dello spirito, del giudizio (53 versetti), ed un altro per Zaccaria/il profeta del maschìach umile e crocifisso (211 versetti); uno poi comprende Aggeo/il profeta della ricostruzione (38 versetti), Abdia/un grido lungo 21 versetti (21 versetti) e Giona/la colomba, l’oppressore (48 versetti); ed altri tre annoverano Michea/il profeta che denuncia e annuncia (150 versetti) e Malachia/il difensore del culto e del matrimonio (55 versetti); Abaquq/il profeta sentinella (56 versetti) e Sofonia/il profeta del Dies irae (53 versetti); Amos/il pastore profeta di sciagure (146 versetti) e Nachum/il patriota profeta della lex talionis (47 versetti). In proposito, non sembra inappropriato richiamare alla mente il fenomeno, ‘segno’, che, all’incirca un mese fa, ha ‘interessato’ la Sardegna in concomitanza con la pubblicazione dell’ultimo volume della collana di don Franco e, strettamente rapportabile al Profeta Osea: l’invasione delle cavallette. Tornate all’improvviso, sempre più invasive, distruttrici, divoratrici, fameliche, appropriatrici indiscusse dell’intero territorio sul quale sono calate. Una invasione curiosa, strana, e, incredibile dictu, nessuna inchiesta è stata aperta e nessuno risulta iscritto nel registro degli indagati. Una invasione esplosiva, immane e tempestosa che ha fatto rumore soltanto perché ha messo in evidenza gli incalcolabili danni provocati sia sotto l’aspetto bucolico che sociale ed economico. Nessun riferimento, nessun apparentamento è stato concretizzato, elaborato, con le loro antenate, ovvero con quelle stesse cavallette che molto bene ebbe ad evidenziare e ad elevare a simbolo del male Osea (V. testo dall’omonimo titolo di don Franco Galeone). Il quale, illuminato anche dalle parole di Gioele, le ha prese in prestito meditandole, analizzandole, approfondendole e trasmettendole non come maestro perché il “vero maestro non sa di esserlo e se lo sa è preferibile starsene lontani, prendere le distanze” e nemmeno da professore perché “dei professori abbiamo piene le scatole e le tasche”, ma da cultore speciale e studioso appassionato e incisivo dei testi sacri. Quale l’insegnamento che ne deriva e, di conseguenza, da osservare? Vivere la quotidianità con moderazione, serenità, tranquillità, in pace con la propria coscienza e soprattutto con il prossimo. Non smodatamente, esageratamente, sfrenatamente e nemmeno superficialmente. Insomma, anche in tempi di agiatezza, di benessere, non bisogna lasciarsi andare a vivere ‘una vita esagerata’. Conversione e ravvedimento non sono mai dietro l’angolo. Da abitudinari quali siamo, ce ne siamo fregati e così continuiamo a fregarcene soprattutto del passato e, in modo particolare, sia dei nostri antichi padri che dei loro insegnamenti. Perché recuperarli dal momento che – per tanti – sono ormai del tutto tramontati, morti e sepolti? Mai dunque pensato che possano essere di esempio? Nemmeno per una semplice riflessione tale da consentirci di evitare tante malvagità, atrocità, corruzione, immoralità, perversione, anticamera di povertà, indigenza, miseria. E qui, ancora una volta, con particolare efficacia e bellezza meravigliosa, ci viene incontro la ‘spiegazione dei singoli riti propri della celebrazione della Pasqua ebraica’ con le risposte date dal celebrante ai quattro ‘perché?’ del giovane e la riflessione finale: “Perciò noi siamo obbligati a lodare e celebrare, glorificare e magnificare il Signore, che fece ai nostri padri e a noi, tutti questi miracoli. Egli ci fece passare da schiavitù a libertà. Da servitù a redenzione, da affanno a gioia, da tenebra a grande luce”.