Festa della Conversione di San Paolo

Padre Giuliano Di Renzo

Nelle settimane intorno a Natale abbiamo assistito a manifestazioni di pubblica empietà. Mentre si copre la propria viltà con l’ipocrisia di non urtare i musulmani e che lo stato è laico, quando si sa che laicità non significa laicismo e la democrazia pare oggi una verniciatura, il cristianesimo che ha formato il nostro popolo, la sua cultura, la sua arte, la sua civiltà lo si può impudentemente svillaneggiare ritegno e offendere e discriminare gli italiani in casa loro!

Che la religione cattolica non è più la religione dello stato, non significa, né è scritto, che sia subentrata ad essa l’ottusa religione di bigotto laicismo anticristiano.

Il laicismo ha portato l’inaridimento delle coscienze, l’immoralità e l’insaziabilità di nebulosi diritti individuali, alla quasi negazione dei doveri che fa di ognuno è legge a se stesso. Ci si ritrova instabili, precari, frustrati, suscettibili e paranoici.

L’uomo moderno ha smesso di credere e di pregare, di pregare e di credere.

Teme il silenzio e ama il rumore, e non pensa veramente più, trascinato dal vento del niente da un’idiozia all’altra, da una balera all’altra, simile a ignavi dell’inferno di Dante.

Indefiniti principi di parità e democrazia fanno le coscienze disposte a tutti i venti e chiamano  formazione, progresso, cultura e civiltà, che la realtà quotidiana poi immancabilmente sconfessa.

Le professioni di fede laicistica e ateistica segnano la sconfitta e la condanna della vita.

Nulla può invece esistere senza portare dentro di sé un senso, essendo il senso la forma che interna alle cose le fa esistere.

Guadando il carnevale delle idee si ha la sensazione di avere a che fare con la sedazione delle coscienze a opera delle terapie intensive che ideologie e globalismo mercantilistico dispensano secondo protocolli di generale dolce fine di vita.

Ma perché si offende tanto Dio? Perché la professione di fede di laicismo e di ateismo la si sente piuttosto spesso in questa società che non crede neppure in se stessa, fatta disperata dalle illusioni del suo non credere a nulla? Ed è la somma disgrazia dello spirito, cieco prima di tutto a se stesso

Il non significato di sé è l’inferno del quale si dice non esistere ed è invece del e nel cuore.

Torniamo alla fede in Dio, restituiamo al nostro spirito la nostra terza dimensione che volge in alto. Non riduciamo a cercare Dio quando, ridotti all’impotenza e alla fine della vita, cercheremo una salvezza che forse non otterremo perché avendo noi nella vita scherzato l’ultima angoscia non farà   umile e del tutto pentito il cuore, povero e libero di sé, da aprire alla speranza come dono.

Lo scorso 20 gennaio ricorreva il 175mo anniversario della conversione dell’avvocato francese ebreo massone anticattolico Alphonse Ratisbonne. Si fece cattolico e divenne sacerdote aggiungendo al suo nome quello di Maria. Fondò a Gerusalemme le Suore di Sion per accompagnare gli ebrei che sarebbero giunti a riconoscere Gesù.

La sua testimonianza essendo diretta fa più impressione. Meditiamola.

“Giunto a Roma, mi recai a casa del barone Théodore de Bussière…gli feci conoscere l’impressione che mi aveva fatta la visita al Ghetto per l’oppressione dei miei fratelli ebrei, come anche delle superstizioni dei cattolici; e me ne risi con piacere.

Ebbene, rispose il signor de Bussière, giacché siete uno spirito forte, non avrete difficoltà di portare una medaglia, che vi darò”.

La porterò, risposi, per mostrarvi che gli Ebrei non sono così ostinati”.

Il signor de Bussière ingenuamente trionfando della sua vittoria volle conseguirne tutti gli utili.

Ora, riprese, bisogna dare compimento alla prova; si tratta di recitare mattina e sera il “Ricordatevi”, brevissima ed efficacissima preghiera indirizzata alla Vergine Maria da San Bernardo” (…).

Entrai poi “nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte (ma) nessun oggetto d’arte attirava la mia attenzione. Camminavo meccanicamente, con lo sguardo in giro, senza fermarmi su alcun pensiero; mi ricordo soltanto di un cane nero, che saltellava e balzava davanti a me.

Presto questo cane disparve, tutta la chiesa disparve. Non vidi più nulla; o piuttosto, mio Dio, vidi una cosa sola! Vidi come un velo davanti a me. La chiesa mi sembrava tutta oscura, eccetto una cappella, quasi che tutta la luce della chiesa si fosse concentrata in quella.

Alzai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce e vidi sull’altare della medesima, in piedi, viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria, simile nell’atto e nella forma all’immagine che si vede nella Medaglia miracolosa dell’Immacolata.

Mi fece cenno con la mano d’inginocchiarmi. Una forza irresistibile mi spinse verso di Lei, che parve dicesse: “Basta così”. Non lo disse, ma capii.

A tal vista caddi in ginocchio dove mi trovavo; cercai quindi varie volte di alzare gli occhi verso la Santissima Vergine, ma la riverenza e lo splendore me li facevano abbassare. Ciò che, però, non impediva l’evidenza di quella apparizione. Fissai le sue mani e vidi in esse l’espressione del perdono e della misericordia.

Alla presenza della Santissima Vergine, benché Ella non mi dicesse una parola, compresi l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica. In una parola compresi tutto. Non sapevo dove mi trovavo. Non sapevo se ero Alphonse o un altro. Provavo un cambiamento così totale che mi credevo un altro.

Cercavo di ritrovarmi e non mi ritrovavo. La gioia più profonda si sprigionava dal fondo della mia anima, non potei parlare; non volli rivelare niente; sentivo in me qualche cosa di solenne e di sacro che mi fece chiedere un sacerdote. Vi fui condotto. Dopo averne avuto il permesso ne parlai come mi era possibile, in ginocchio e con il cuore tremante.

Tutto quello che posso dire è che, al momento del prodigio, la benda cadde dai miei occhi. Non una sola benda, ma una quantità di bende che mi avevano avvolto disparvero, una dopo l’altra, rapidamente, come la neve, il fango e il ghiaccio sotto l’azione del sole cocente.

Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo. Ma piangevo. Vedevo nel fondo dell’abisso le miserie estreme alle quali ero stato strappato da una misericordia infinita. Rabbrividivo alla vista delle mie iniquità ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza. Come sono arrivato a questa conoscenza? Non saprei dirlo. Questo io so: che entrando in chiesa ignoravo tutto, uscendone vedevo chiaro”.

Il momento della morte è lo squarciarsi del nostro spazio-tempo come velo di Maya ed entrare noi sotto la Luce della Santità che Dio è.

In un baleno ci si mostrerà chi veramente noi siamo, cadranno dai nostri occhi le bende che impedivano di vedere e giudicarci nella Luce della Verità. Orpelli e illusione dilegueranno.

Quella Luce sarà a noi la trasparenza che ci rivelerà a noi stessi e sarà la beatitudine dell’abbraccio con l’Amore che è Dio o il lampo di Luce che ci mostrerà la nostra vita sciupata e l’orrore che  avremo noi di essa ci farà maledire noi stessi e sarà il buio in cui seppellirà il peccatore la sua l’eternità della sua esistenza di orrore, bestemmie e disperazione, come nella vita, rifiutando con continuità quella stessa Luce, secondo le libere scelte nella vita avremo di noi di questa.

Tutti i miracolosamente convertiti raccontano della Luce che improvvisa sfolgora e li svela a loro stessi, mostra l’orrido dei loro peccati, fa cadere dagli occhi le bende che le oscurano. Ma è Luce della misericordia e introduce nella Resurrezione.

Quaggiù dunque è la misericordia, al momento della morte, che compie passaggio dalla dimensione dello spazio-temporale alla dimensione dell’eternità sarà giustizia, che darà ultima definitiva ultima legittimazione alle libere nostre scelte della vita.

Convertiamoci e crediamo al vangelo( Mc 1,15),  prima che il tempo per  noi sia compiuto!