Kinywa, bocca

Padre Oliviero Ferro*

Parlare non è facile. Si rischia di balbettare, se non si riesce a collegare le parole tra di loro. E imparare una nuova lingua non è facile. Ci vuole, e l’ho capito ormai da un po’ di tempo, il guardare (i gesti delle persone), l’ascoltare quello che dicono e alla fine potrò cominciare a parlare. Non basta far fare ginnastica alla lingua. Bisogna mettersi a studiare, tutti i giorni; lasciarsi aiutare e soprattutto cercare dei buoni maestri e i migliori sono i bambini. Sono molto esigenti. Al primo sbaglio, si mettono a ridere, ma non ti prendono in giro. Sono anche molto comprensivi. Vedono i tuoi sforzi e sono anche disposti ad aiutarti. Tu aiutali con una caramella e si faranno in quattro per te. Poi, mettiti a scrivere quello che stai imparando, non aver paura di sbagliare. Comincia a farti un piccolo vocabolario. Ed è quello che io ho fatto quando ho imparato lo swahili in Congo Rd. Mi sono messo in ascolto dei racconti, delle tradizioni. Ho anche inventato qualche favola. Chiedevo a destra e a sinistra per capire il significato e l’origine delle parole. Ci vuole molta umiltà e pazienza. Si dice “haraka haraka haina baraka” (la fretta non porta benedizione). E così, giorno dopo giorno, il kiswahili è diventato parte della mia vita e ora sono contento, perché, anche 21 anni dopo che sono rientrato dal Congo Rd, me lo sento parte della mia vita. E grazie ancora a piccoli maestri, a quei watoto che ora, spero, siano diventati grandi e magari anche maestri in qualche scuola!

* missionario saveriano