La storia e la Storia di Oriana Fallaci

Amedeo Tesauro

Il 15 settembre 2006 se ne andava Oriana Fallaci. Se ne andava ancora sulla cresta dell’onda, pienamente al centro del dibattito pubblico al quale era ritornata con forza dopo gli attentati al World Trade Center di cinque anni prima. Il suo La rabbia e l’orgoglio, primo capitolo di un’ideale trilogia assieme a  La forza della ragione e Oriana Fallaci intervista sé stessa – L’Apocalisse, era divenuto il controverso nuovo inizio dell’ultima vita della Fallaci, lei che di vite ne aveva vissute tante. Definita razzista, fuori di testa, ispiratrice d’odio, ma anche profetica, lucida, riscoperta ai nostri giorni in seguito agli exploit del terrore dello stato islamico, la Fallaci post undici settembre ha polarizzato le opinioni e fatto pesare la sua presenza, divenendo così un feticcio da sbandierare all’occasione. Soprattutto una certa destra se ne è servita per affermare la bontà culturale delle proprie tesi, lei che alla destra non s’era mai avvicinata e anzi ne aveva avversato le rappresentazioni politiche. Nell’assurdo gioco delle parti che impone di catalogare le figure pubbliche senza errore, la Fallaci è così finita in un campo al quale non si era mai legata, ripercorrendo in maniera inversa la vicenda umana e professionale di un altro dei nomi tutelari del giornalismo italiano, Indro Montanelli. Toscani entrambi, lei era stata un idolo fino alle sue battaglie finali, da lì in poi si era fatta figura scomoda e perciò messa da parte, per quanto potesse essere messa da parte una delle voci italiane più riconoscibili al mondo; lui, invece, odiato e osteggiato per lunga parte della vita, dopo aver polemizzato e rotto col suo editore Silvio Berlusconi è stato improvvisamente rivalutato e accolto in un pantheon di grandi a cui prima gli era negato l’accesso. Conseguenza inevitabile, ogni qual volta l’Oriana è menzionata, è il dibattere su quelle posizioni espresse negli ultimi anni, oscurando le altre vite vissute in precedenza. Tutte connesse tra loro, beninteso, evitando di cadere nell’errore per cui l’ultima Fallaci fosse aliena alla prima, quasi due persone sconosciute: era la stessa, una che non piaceva a tutti, una che non desiderava piacere a tutti. Al di là delle opinioni sulle sue di opinioni, della Fallaci resta il talento, quello per la parola. Una prosa diretta, secca, che ha conquistato milioni di lettori,  sia nei romanzi come Penelope alla guerra e Insciallah, sia nelle cronache giornalistiche. Perché prima di tutto la Fallaci è stata una grande giornalista, una come quelle dei film, avventuriera al fronte  tra le pallottole e al contempo arguto e tagliente interlocutore capace di disarmare i potenti della terra nei faccia a faccia. Proprio quelle interviste, veri e propri match uno contro uno riportati poi nei volumi Intervista con la storia e Intervista con il potere, esibiscono un talento puro per il mestiere, l’abilità del giornalismo di penetrare a fondo negli uomini per raccontare la storia. Che in fondo, come ricordava per prima, è fatta da pochissimi uomini in posizioni di potere, quasi tutti passati davanti a lei e implacabilmente giustiziati dalla sua penna. La definitiva ribalta internazionale l’aveva raggiunta così, grazie a quelle testimonianze sui potenti del Novecento che avevano reso lei stessa parte della storia del secolo. Invero è la costante della vita di Oriana Fallaci, legarsi alla storia, a un racconto universale più grande, le sue vicende personali si sono intrecciate con gli avvenimenti clou del ventesimo secolo. Da adolescente aveva partecipato alla Resistenza, guadagnandosi una medaglia di cui era profondamente orgogliosa, dimostrando fin da giovane la vocazione alla libertà e alla ribellione. Da giornalista aveva raggiunto i futuri astronauti alla Nasa, intervistato Neil Armstrong, aveva stretto amicizia con Charles Conrad, comandante della seconda missione sulla luna, il quale portò nello spazio una foto di Oriana da bambina e pronunciò, calcando il suolo lunare, un’ironica frase suggeritagli proprio dalla scrittrice. C’era poi stato il Vietnam, la guerra più  televisiva e raccontata da vicino di sempre, nel quale si era guadagnata la fama come cronista di guerra, e a seguire le interviste ai vari Kissinger, Khomeini, Arafat, il Dalai Lama, e tanti altri. Perfino il suo grande amore ha a che fare con la storia, il rivoluzionario greco Alexandros Panagulis di cui fu compagna dal 1973 al 1976, morto in un misterioso incidente automobilistico e celebrato nel romanzo Un uomo. Poi il ritiro newyorchese, a suggellare un legame con gli Stati Uniti mai nascosto che tuttavia non le aveva impedito di criticarne la politica estera ai tempi del Vietnam, un silenzio lungo dieci anni nei quali nessuno l’aveva però rimossa, un’assenza troppo pesante per costituire l’ultimo capitolo della vita di Oriana Fallaci. Malata di cancro, la scrittrice fiorentina si dedicava a un romanzo destinato a non uscire mai, un lavoro interrotto dall’ultimo appuntamento prefissato con la storia. Gli attentati del settembre 2001 la colpiscono nel vivo, lei newyorchese da adozione, e il suo grido la renderà figura indigesta e controversa, tuttavia centralissima, come dimostrano le milioni di copie vendute dalle sue ultime invettive. In occasione del quindicesimo anniversario dell’undici settembre Enrico Mentana ha scelto con coraggio di dedicare una serata a Oriana Fallaci, alle sue contraddizioni e alla sua vicenda umana e professionale, un modo per parlarne a tutto tondo. Nel presentare la trasmissione Mentana ha centrato il nodo della questione, parlando di mancanza di una memoria collettiva e dell’usanza tipicamente italiana di categorizzare in base al credo politico e marginalizzare di conseguenza. Il risultato è l’appiattimento, la semplificazione su una figura non semplificabile, in grado di vivere e raccontare la storia, fino a divenire essa stessa parte di essa.