L’Oro Bianco

Mentre l’ appello di Papa Francesco all’ Angelus del 15 agosto scorso ha invocato giustizia e amore per le donne vittime di violenza” aggiungo io non solo per quella fisica, ma ancor più per quella “meno considerata” ma non meno grave come la violenza psicologica, mentre a Mantova Festivaletteratura festeggia vent’ anni ed impone un modello culturale imitatissimo, mentre per amore di madre e tenacia di una scienziata – Loretta Falcone -, viene scoperta un’ infezione batterica rara “Pandas” confusa addirittura con schizofrenia e autismo che colpisce l’ infanzia, ma è curabilissima con penicillina, nulla ci giunge sulle problematiche che riguardano l’ “orobianco” ossia la preziosissima “Acqua” . Nel nostro Ordinamento non è mai stata in discussione l’ ipotesi di privatizzazione dell’ acqua eppure, molti cadono nell’ errore. L’approvazione da parte del Consiglio del Ministri, il 20 gennaio scorso, degli schemi di testo unico sui servizi pubblici locali di rilevanza economica e sulle società partecipate, e le vicende del disegno di legge in discussione alla Commissione Ambiente della Camera dei deputati sulla “ripubblicizzazione del servizio idrico”, hanno riacceso il dibattito sulla presunta privatizzazione dell’acqua e sull’altrettanto presunto tradimento della volontà referendaria espressasi cinque anni orsono. La dimensione – a volte anche emotiva- del confronto è dovuta alla natura del bene acqua: risorsa preziosa e scarsa, non riproducibile, fondamentale per la sopravvivenza di ciascuno. Retaggio del referendum del 2011 è una discussione che ancora anima la dialettica politica, ma che è fondata su di un presupposto falso: l’antitesi tra acqua pubblica ed acqua privata. Nel nostro ordinamento, come in quelli di quasi tutti i paesi europei, ad eccezione del Regno Unito, non è mai stata in discussione l’ipotesi di privatizzazione del bene acqua, né (se non per una breve parentesi) delle infrastrutture che ne garantiscono l’erogazione. L’acqua è bene pubblico; sono beni demaniali le reti; quel che può essere data in concessione ai privati è solo la gestione del servizio. Eppure, non solo i comitati per l’acqua pubblica ma anche un autorevole esponente del mondo accademico come Stefano Rodotà hanno contestato alle nuove norme sui servizi pubblici di tradire la volontà referendaria consegnando “ai privati la gestione dei servizi idrici”. “Il punto chiave –secondo Rodotà- è appunto quello della gestione, per la quale le nuove norme e il testo unico sui servizi locali fanno diventare quello pubblico un regime eccezionale e addirittura ripristinano il criterio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” cancellato dal voto referendario” (La Repubblica del 21 marzo). Il dibattito si è arricchito ed in parte pregiudicato in questi giorni dal  fatto che una banca irlandese a capitale tedesco la DEPFA ha realmente bloccato il piano delle amministrazione comunali per alcuni acquedotti del Lazio e della Toscana a fronte di un prestito erogato, ma maldestramente gestito dalle istituzioni locali. “Puglia siticulosa” aveva definito Orazio. Oggi tuttavia l’appellativo coniato dall’illustre poeta di Venosa  potrebbe essere esteso all’intera Penisola, dall’alto dei propri 13.000 acquedotti ( o lì vicino) rendendo dunque il tutto materia ancor più complicata, per gli annessi costi di gestione dell’intera rete idrica nazionale che necessiterebbe di continue operazioni di restauro ed adeguamento anche a legislazioni di carattere sanitario. Quello italiano è un sistema “idraulico” che nonostante vanti in alcune situazioni opere eccellenti per grandezza ed anche come background tecnologico (al mondo intero) come “l’Acquedotto Pugliese”, purtroppo al tempo stesso manifesta dei limiti nella manutenzione e nella messa a norma delle medesime. Gli acquedotti italiani infatti registrano perdite nell’ordine di circa 100.000 litri/secondo per una media del 40% del flusso. Addirittura in alcune tratte relative alle opere esistenti nel Lazio ed in Calabria si registrano perdite nell’ordine del 70% del flusso, con danni economici assolutamente rilevanti. La possibile soluzione del problema potrebbe passare anche attraverso un progetto di interconnessione di acquedotti, con la evoluzione dello schema da “albero” a “rete”. Ma il pericolo, oltre le perdite, condizionate oltretutto in moltissime regioni da sistematici furti d’acqua, è dato anche nell’accezione sanitaria dal fatto che nella stragrande maggioranza i tubi delle tratte idriche sono ancora tutti in cemento od amianto. Inoltre, frequenti analisi hanno rilevato percentuali di piombo oltre i consentiti limiti attestandosi tra i 10 ed i 25 microgrammi per litro in luogo dei massimi 10, come per Legge, con presenze di arsenico e fluoro. I lavori per una adeguata e completa ristrutturazione della mappa idrica nazionale sono previsti nell’ordine dei cinque miliardi annui, a fronte di lavori di adeguamento che richiederebbero sforzi per circa cinquanta miliardi di €uro. Lo stato riesce ad impegnarne non oltre il miliardo e mezzo di €uro circa, con deficit (anche sanitari) pesantissimi. Pertanto nella fattispecie è importante trovare una coniugazione dal punto di vista legislativo tra pubblico e  privato, nel senso che a fronte del riconfermato, inalienabile diritto all’acqua, corrispondano misure che prevedano economicamente l’intervento del privato che possa assicurare la realizzazione dell’adeguamento della rete con buona pace delle misure sanitarie. Anche in questo caso ci si rimette all’intervento di politici e dell’Esecutivo, sperando nel caso che “ …non facciano acqua …..”.

Ellera Ferrante di Ruffana