Lettera al Cilento

Giuseppe Lembo                                                                                                    

 Il vasto territorio del Parco, da area protetta quale doveva essere, è diventata sempre più, area non protetta. Da area protetta di grande valore paesaggistico è oggi un’area del niente e sempre più abbandonata a se stessa; un vero e proprio “territorio di nessuno”, indifferente alla gente che lo abita e che non crede più a niente. Un territorio feudo ormai esclusivo dei cinghiali che, con violenta furia devastatrice ne vanno modificando le caratteristiche, creando situazioni di grave disagio umano ed economico e crescenti fattori di degrado e di rischio ambientale. In venti anni di area protetta, niente ma proprio niente, dal punto di vista ambientale, è come prima. Siamo, purtroppo e sempre più, allo sfascio Cilento. Altro che area protetta! Altro che territorio UNESCO, con un paesaggio bello da vedere e da vivere, così com’era e così come lo avevano ereditato i cilentani da un saggio mondo contadino che vivendo e lavorando, avevano fatto del Cilento un territorio dell’anima; un territorio ben conservato, bello da vivere. Oggi il ventennio del Parco ha fatto il miracolo di abbruttirlo, rendendolo sempre più difficile da vivere, dove è attualissimo l’anatema di Eduardo De Filippo ai napoletani “fuitevenne”. E così anche il Cilento non più amico dell’uomo, invita sempre più alla fuga, soprattutto dei giovani che non sanno che fare per poter vivere con dignità la loro vita nell’amato Cilento. Purtroppo, siamo in una disumana e crescente condizione di gravi negatività. Paesi abbandonati a se stessi, con una crescente popolazione di anziani, senza speranza di futuro che vivono vegetando e dimostrandosi indifferenti a tutto e con i pochi giovani già vecchi nei loro comportamenti, assolutamente indifferenti a tutti, per cui da “indifferenti” non agiscono né reagiscono per rivendicare con forza quel futuro possibile che il fare nanistico del Cilento con i suoi poteri territorialmente costituiti (in primis quelli del Parco, un Ente carrozzone, assolutamente inutile e per molti versi addirittura dannoso ai territori falsamente protetti, in quanto nell’indifferenza più assoluta del governo verde, vivono di abbandono, di degrado e di crescente insicurezza). E così l’umanità cilentana un tempo protagonista intelligente dei territori dell’anima, diventa sempre più, un’umanità disumanamente indifferente a tutto, vedendosi ridotti i territori del sapere velino, in territori senza anima e sempre più difficili da vivere. Purtroppo, l’azione distruttiva dei cinghiali di importazione, rappresenta per il territorio cilentano, area protetta, un grave danno per la conservazione e la tutela dell’ambiente. Oltre al danno paesaggistico c’è anche un grave danno di sicurezza territoriale. I terreni terrazzati non sono più tali; sono, sempre più, trasformati in un vero e proprio sconquasso territoriale, con gravi rischi per la conservazione, essendo ormai cancellato tutto il buono e saggio fare umano di conservazione messo in atto attraverso un intelligente sistema di protezione idraulico-forestale, purtroppo, sempre più cancellato, con uno scivolamento a valle delle terre non più protette e non più oggetto di attenzione amica da parte di quel saggio mondo contadino che governava la Terra, con grande attenzione per il suo uso futuro, protagonisti i figli e più ancora i nipoti che la ricevevano in eredità per usarla senza abusarne e tanto meno fare su di essa azioni di violenza e/o di inopportuna mutazione pregiudizievole e gravemente dannosa per il futuro; tanto, in mancanza di un corretto rapporto uomo-uomo ed ancor più uomo-Terra, sempre più ammalata di uomo, un pericoloso nemico del futuro del mondo, purtroppo, a forte rischio di un nanismo umano appiattito su di un disumano presente avere-apparire, il “dominus” del nostro tempo disastroso, sempre più negato al futuro. Niente e nessuno, così facendo, potrà mai salvarsi. Territori senz’anima che subiscono un fare rovinosamente violento nell’indifferenza di chi potrebbe conservarlo protetto e così garantirlo al futuro di quelli che lo dovranno ereditare e non possono assolutamente pagare le colpe dei padri, dal fare indifferente per costruire insieme il futuro dei figli.

Il Cilento, sedotto ed abbandonato, da lungo tempo compromesso da un fare umano fortemente negativo, così com’è, purtroppo, è destinato a perdere la sua scommessa con il futuro possibile.

Una scommessa che potrebbe ancora vincere se riuscisse a cambiare i comportamenti umani partendo da quelli istituzionali che sono e sempre più, unicamente negativi, negando così ai territori, in grave sofferenza antropica, il cambiamento possibile; tanto, sempre che gli uomini contribuiscano intelligentemente, con un insieme di idee, a pensarlo, progettualmente e poi attivamente realizzarlo con un fare virtuoso che, prima di tutto, deve badare all’uso intelligente delle risorse umane, esercitando sulle stesse un’attrazione di saggio rientro territoriale per i tanti (cervelli e braccia da lavoro) costretti ad abbandonare la Terra dei padri, per cercare altrove pane e lavoro.

Che fare per un mondo nuovo nell’area protetta del Cilento – Vallo di Diano ed Alburni? All’interrogativo c’è da rispondere con un necessario cambiamento a 360 gradi delle politiche territoriali, purtroppo, oggi, in grave sofferenza umana, culturale e quindi di prospettive future per lo sviluppo possibile; è il vuoto culturale, con un dominante  nanismo del pensiero, un male profondo da sradicare per vincere la scommessa del futuro possibile anche nell’Italia minore.

Al Cilento – Vallo di Diano ed Alburni, come altrove, proprio non interessa l’azione perdente di una burocrazia del niente a supporto di decisori che non sono assolutamente all’altezza, per cui girano attorno ai problemi, senza saperne trovare le soluzioni giuste e necessarie. Al Cilento – Vallo di Diano ed Alburni, un territorio, malamente protetto per mancanza di idee, di iniziative e di uomini saggi e capaci prima di tutto, di capire negli ambiti delle proprie competenze istituzionali, come innervare i territori di innovazioni, di tecnologie, di professionalità e di organizzazione delle risorse umane. Occorrono dinamici saggi capaci, altresì, di dare ai territori una comune cultura del fare ed un  modello culturale di un intelligente insieme partecipato, dando così un’anima viva alla comunità, oggi tristemente abbandonata a se stessa ed in sofferta solitudine esistenziale che porta alla rassegnazione dei pochi che ancora restano, sfidando senza risultato il futuro sempre più negato. Tutto questo significa e deve significare un profondo cambiamento umano; un cambiamento non di facciata, ma vero e coinvolgente; un cambiamento in cui tutti, ma proprio tutti, devono sapersi sentire protagonisti del futuro possibile da costruire a più mani.

Per fare questo, sono assolutamente necessarie due cose; prima di tutto, rimuovere quel pantano liquido di un esistente umano che non promette niente di buono; fatto questo, rimuovere con forza ed intelligenza, altresì, le dannose incrostazioni del sistema burocratico fortemente arrugginito che non ha assolutamente i saperi, le conoscenze e gli strumenti del fare per proporsi come dinamica risorsa del cambiamento possibile con in sé i presupposti culturali per immaginarselo e quindi realizzarlo con un’azione in rete, senza lasciare indietro nessuno; senza produrre esclusi.

Ultimo, ma primo per importanza strategica dei territori e sui territori, è il ruolo che deve esercitare il potere, attraverso il contributo attivo dell’insostituibile azione di un insieme umano, con un fare da intelligente e dinamico manager di sviluppo territoriale.

È un danno, un danno gravissimo, dare i territori dell’area del Parco ai soliti politi territoriali cilentani e/o campani che siano.

Non sono assolutamente le persone giuste per realizzare da protagonisti, le urgenti e sempre più necessarie politiche di sviluppo di cui necessitano i territori, riconosciuti Patrimonio dell’Umanità, ma di fatto abbandonati a se stessi e condannati a morte sicura.

Il Parco proprio non può avere questa mala sorte da futuro negato.

Se tanto dovesse accadere è solo perché i cattivi decisori del niente, pur sapendo che il mondo è profondamente cambiato, pensano ancora possibile governare sgovernando i territori, su cui da rais si sentono padroni assoluti per il solo fine della politica da monarchi pensata e finalizzata al tutto per sé, con disumana indifferenza per gli amministrati, sempre più abbandonati a se stessi.

Il tutto nella logica deve della malapolitica, dove l’Io egoisticamente si rifiuta di diventare Noi, in quanto siamo di fronte ad un mondo dell’avere-apparire che sa pensare solo a se stesso, realizzando per questo fine, un disumano percorso di politica “estrattiva” al fine di accaparrarsi tutto per sé, togliendo agli altri, senza assolutamente farsene scrupoli e con assoluta indifferenza per la politica “inclusiva”, fatta da uomini che sanno capire le ragioni degli altri (teoria degli economisti Daron Acemoglu e James Robinson).

Occorre, nel Cilento – Vallo di Diano – Alburni, cambiare; occorre cambiare gli uomini che hanno rappresentato una continuità storica, assolutamente da interrompere, mettendo e per sempre, la parola fine ad un disastro umano e territoriale da tempo annunciato.

Tanto, riducendo i tanti piccoli paesi dell’anima, in un mondo umanamente vuoto e senz’anima, con i territori, oggi affidati ad un mammifero selvatico di importazione che esercita in branchi una devastante azione distruttiva, rendendone invivibili i territori ormai inutili da coltivare e producendo sugli stessi un devastante degrado, con gravi forme di mutazione ambientale e del paesaggio, distrutto nel suo terrazzamento reso, tra l’altro e sempre più, in condizioni di crescente e di grave rischio di dissesto e di inevitabile scivolamento a valle del suolo sempre meno protetto.

Un tempo questi territori dell’anima avevano almeno la speranza di possibili prospettive di futuro; tanto, per quella cultura del futuro antropologicamente forte, con un altrettanto forte legame tra una generazione e l’altra.

Tutto questo, con grave danno, purtroppo, sta oggi mancando all’intero territorio, dove è sempre più conflittuale il rapporto genitori figli e dove i pochi giovani che non hanno ancora preso la via dell’abbandono della Terra dei padri, vivono rassegnati e con un animo più vecchio di quello degli stessi padri.

Quali le conseguenze di tutto ciò? Un grave disastro antropologico – territoriale che, stranamente, si è aggravato in modo irreversibile, proprio nel ventennio della speranza, che tanti avevano riposto nella nascita del Parco.

Una speranza, purtroppo, disumanamente tradita con conseguenze gravissime e di non ritorno.

Il tutto in un fare paesano, fortemente ammalato di nanismo culturale; un mondo chiuso in sé che non ha avuto la giusta spinta al cambiamento con alla base un Progetto Cilento, mancando il quale  si è continuato con un uso non uso e/o con un uso del tutto sbagliato della risorsa ambientale, dei beni artistico – culturali, dei saperi eleatici dell’essere parmenideo, unitamente al bel paesaggio ed alla buona Terra, capace, come per tradizione, di dare dei buoni frutti, con prodotti salutistici a base della dieta mediterranea, patrimonio immateriale dell’umanità.

Purtroppo non c’è stato l’atteso cambiamento che doveva diventare intelligentemente occasione di sviluppo umano e territoriale. Il solo dominante protagonismo del nanismo culturale che doveva adoperarsi per cambiare, proprio non lo ha fatto; proprio non è stato capace, per le mancate condizioni di partenza, di promuovere il nuovo umano, sociale e territoriale.

Il tutto, come pietrificato, è rimasto inchiodato ad un passato senz’anima cancellandone tra l’altro e sempre più, anche il buono umano e territoriale della vecchia civiltà contadina che in gran parte se non del tutto scomparsa, si è vista man mano cancellare il mondo incantato dei tanti Paesi dell’anima che, cammin facendo, hanno subito la terribile mutazione genetica di Paesi senz’anima; e così, i tanti Paesi del territorio sempre più sedotti ed abbandonati da Paesi dove era bello vivere, avendone cancellata quell’anima affidata alle piccole cose ed a servizi territorialmente importanti quali le scuole, gli storici servizi postali, i servizi essenziali per la salute, si sono man mano andati trasformando in Paesi del non vivere.

Tutto questo è stato negli ultimi tempi il frutto di un male oscuro di un territorio falsamente protetto, dove come e più di prima, si è fatto e si continua a fare finta di cambiare tutto, per non cambiare assolutamente niente.

L’obiettivo devastante è quello di mettere in piedi un Progetto di stupido smantellamento territoriale; ha le sue profonde radici nel nanismo culturale diffuso, una mala ed infestante gramigna assolutamente difficile da estirpare.

È, purtroppo ed in modo devastante, continuata nel tempo a farla da padrone, sottomettendo sempre più un mondo vuoto con padrini che, nella logica di sempre e con forte insipienza umana, hanno così negato il futuro ad un mondo umano e territoriale che aveva in sé tutte le buone caratteristiche per svilupparsi; tanto era possibile, riempendo di prospettive future l’umanità territoriale che, per mancanza di inventiva e di cultura del futuro, ha dismesso, a piene mani i percorsi di futuro possibile, trasformandoli in percorsi di non futuro, il frutto di una  grave incapacità diffusa di pensare e di investire in termini di futuro.

Queste profonde negatività antropologiche, tramandate familisticamente da una generazione all’altra e con un fare pietrificato anche nel ventennio del Parco, hanno fatto mancare ai territori cilentani, del Vallo di Diano e degli Alburni, quello che doveva e poteva essere lo “sviluppo possibile”, con nuove ed altrettanto possibili condizioni di vita per la gente, da sempre sedotta ed abbandonata ed inopportunamente convinta del “così è” e del “non c’è niente da fare”. Nell’area del Parco ci sono le condizioni di uno sviluppo possibile; ci sono le tante potenzialità da poter utilizzare e mettere al servizio dello sviluppo possibile; trattasi di un ricco patrimonio di risorse naturali, umane, storiche culturali e con un grande passato di pensiero e di saperi, oggi patrimonio dell’umanità. Chi gestisce il territorio ed ha precisi ruoli istituzionali, deve saper fare il proprio dovere; deve saper “progettare il futuro”, avvalendosi della collaborazione attiva della gente, senza la quale si può solo bugiardamente “sognare il futuro”, ma non realizzarlo. Per sconfiggere il sottosviluppo ed il sempre più diffuso “familismo amorale”, cammin facendo trasformatosi in un cieco individualismo, sono assolutamente necessarie forti e partecipate azioni d’insieme. Oggi, come non mai, ogni contesto locale nel suo rapporto con il mondo globale (glocal), è una realtà importante se saprà autonomamente pensare allo sviluppo, mettendo le sue energie e le sue risorse a disposizione degli scenari della globalizzazione mondiale. È una grande sfida; una sfida da non perdere; una sfida da vincere, perché diversamente, c’è solo il non sviluppo; le armi per combattere e vincere, sono nel mondo naturale e nella cultura, importanti risorse e “motore” dello sviluppo locale. Chi governa i territori deve dimostrare saggezza; partendo dai “particolari territoriali” bisogna saper dare a ciascuno di essi, il senso e la forza dell’universale. Da società locale, senza identità e senz’anima, uscendo dalle sue gravi negatività di mondo senz’anima, di mondo sedotto ed abbandonato, deve imparare a strare insieme nel contesto mondializzato di una società planetaria multietnica. È un Progetto di civiltà universale. Il simbolo unificante della società globale del Terzo Millennio può essere l’ulivo, già simbolo universale di Pace, unitamente ai saperi parmenidei dell’Essere, i soli che possono liberarci dalla grave e maledetta zavorra dell’avere – apparire che, tanto male, deviandone il corso, sta quotidianamente facendo all’uomo della Terra. Occorrono per un mondo nuovo all’interno del Parco, energie nuove; energie non radicate ai territori che, abbiano una forte dimensione manageriale nell’uso delle risorse ambientali ai fini dello sviluppo antropico – territoriale. È urgente fare questo! È urgente cambiare e dare anche al Sud ed ai suoi tanti territori dimenticati la certezza umana del poterci vivere, senza il dramma del passato di sradicamenti e di abbandoni che stanno desertificando il Cilento ed i suoi borghi, togliendo ai territori la presenza umana, senza la quale non c’è cambiamento; non c’è sviluppo e vengono tragicamente meno le condizioni di vita che diventa così una vita negata.