Mi vergogno d’esser un giornalista italiano

Giuseppe Lembo

L’Italia del giornalismo strillato, da veri e propri pescivendoli, proprio non si smentisce mai; non finisce mai di sorprenderci. Il giornalismo strillato in Italia cresce; cresce sempre di più nel proporsi a questa nostra Italia morente. Con un fare di strilloni becchini che parlano gridando e sovrapponendosi con la propria voce in teatrini inutili e tristemente pietosi. Al centro di tutto e prima di tutto, c’è un comune atteggiamento autocelebrativo. La invadente cultura italiana del solo apparire vuole questo; forse, forse, vuole proprio e solo questo. I giornalisti padroni dello schermo, sono i nuovi pescivendoli d’Italia. Chiusi i mercati ittici d’Italia, per la forte crisi economica, in blocco si sono trasferiti negli studi televisivi sia pubblici che privati. Affollano gli schermi a rotazione, in ore di sceneggiate che offendono le tante buone intelligenze degli italiani. Da veri e propri pollai mediatici hanno ormai fatto saltare tutte le buone regole del buon giornalismo italiano, ridotto inopportunamente ad una disdicevole e disgustosa sceneggiata che non comunica niente, ma proprio niente agli italiani, sempre più indifferenti all’invadente comunicare dell’apparire che non serve assolutamente a nessuno. Trattasi di un falso comunicare che è del tutto indifferente alle buone regole della comunicazione autentica che non si pone per niente gli obiettivi del comunicare che, prioritariamente sono quelli di fare arrivare i messaggi, il frutto di un corretto rapporto trasmittente – ricevente. Tra l’altro, molto, ma molto inopportunamente ed in modo sempre più disdicevole, c’è assoluta indifferenza per la tradizionale deontologia professionale del buon giornalista che, come tale, dovrebbe avere nel proprio DNA il rispetto di chi lo ascolta attraverso gli schermi televisivi e/o di chi lo legge, attraverso le pagine dei giornali. Il primo e doveroso obiettivo del trasmettere e del comunicare per la buona etica professionale, è l’attenzione per il mondo di chi legge e/o di chi ascolta. È un fare giornalismo strillato da pescivendoli che non giova a niente ed a nessuno; che, soprattutto, nell’Italia morente di oggi, proprio non giova agli italiani disperatamente soli con se stessi e dal futuro sempre più disumanamente incerto e sempre più negato, anche se imbellettato da tante belle, false ed inopportune parole da parte dei tanti parolai d’Italia che pensano a godersi i privilegi dell’autocelebrazione, apparendo a rotazione sugli schermi del circuito televisivo pubblico e/o privato; apparendo, per distrarre gli italiani dai loro gravi ed irrisolvibili problemi; apparendo, in un’arena mediatica dove, i circensi del nostro tempo, per manifestare le proprie capacità leonine di superiorità sugli altri, alzano la propria sgradevole voce, gridando e sovrapponendosi con forza al gridare degli altri. Un Paese con i giornalisti nel ruolo proprio di giornalisti e non più clown da circo equestre, impegnati con fare istrionico a dimostrarsi bravi, gridando; gridando e vomitandosi addosso, idiozie e solo idiozie. Gridando forte, forte, per meglio autocelebrare la loro triste condizione umana e di … giornalisti strilloni, utilmente funzionali alla “Vucciria” di Palermo, dove il pregio del pesce che si vende, è tutto nella capacità di chi fa “vucciria”, dando la voce per promuoverlo alzando, per questo, al massimo il proprio tono di voce-gridata. Una testimonianza di tanta importante umanità popolare c’è stata lasciata da Renato Guttuso che, da “artista” vero ha dipinto un mondo, il suo mondo siciliano, che per sensibilità artistica ed umanità va molto al di là della sua essenza vitale, per diventare magnificamente memoria, ricca di testimonianze di vita, da non poter dimenticare mai.