Libia: Gheddafi e il delicato scacchiere internazionale

Amedeo Tesauro

L’offensiva egiziana in Libia ai danni dell’ISIS comporta una necessaria riflessione che in tanti hanno, senza neppure troppa timidezza, esplicitato: era meglio ai tempi di Gheddafi. O forse no, pur sempre di un dittatore si sta parlando, uno che i crimini contro l’umanità li ha commessi, non certo un’anima pia. Eppure per l’Occidente, e per noi italiani che stiamo di fronte, il pensiero non è certo scandaloso. Del resto è la vecchia strategia del male minore, ammettendo dunque che pur sempre di male si tratta, cercando di evitare il peggio. Sta in situazioni come questa tutta la complessità dell’ars politica, dell’agire con arguzia e spesso badando solo e semplicemente al sodo. Non a caso si è inventata la bella definizione di “real politik”, politica reale, concreta, e poco importa che sia cinica e amorale, la politica nella versione moderna è fatta così. O almeno questa è la riflessione più profonda da fare, comprendere come la politica in certi scenari sia un gioco che lascia sempre qualcuno sul campo. Nella sua forma più complessa i bei discorsi vengono lasciati da parte, i presupposti ideologici esclusi, e la politica all’atto puro è semplice decisionismo, senza scrupoli morali ma solo fini utilitaristici. Del resto si volesse agire sempre per fini etici si interverrebbe in tanti posti nel mondo dove regnano le ingiustizie, invece semplicemente nessuno va a combattere per la giustizia altrui senza averne un fine. In Libia la dittatura di Gheddafi è durata decenni, e negli ultimi tempi si erano perfino placate le vecchie tensioni con gli Stati Uniti, e curiosamente proprio allora Gheddafi è caduto sotto i colpi di un’iniziativa francese e dei tempi mutati. Ora però in tanti si domandano se, in nome della real politik, non fosse meglio lasciare Gheddafi a far da scudo contro i fondamentalisti, o semplicemente se non fosse il caso di gestire con maggiore autorità il delicato momento post caduta (l’ennesima missione di pace occidentale?). Addirittura qualche fine analista ha voluto guardare indietro ai tempi in cui real politik per l’Occidente significava combattere il comunismo a qualsiasi costo (chiedere ai cileni), ipotizzando che la sconfitta del modello sovietico abbia lasciato campo aperto al fondamentalismo religioso nel mondo (del resto alcuni paesi arabi erano vicini all’URSS). E poi ci sarebbe sempre l’autocritica, chiedersi se in fondo il proprio sia il modello migliore, ma ovviamente tutti sono convinti del proprio modello, altrimenti non si farebbe nemmeno guerra. Fosse così si ridurrebbe tutto a un eterno gioco di “se” e di “ma”, cercando indietro nel tempo cosa bisognava o non bisognava fare. Certo è che gli occidentali, americani in testa, qualcosa devono domandarsi sulla loro strategia mondiale. Perché se allora la politica è cosi complessa e spietata come esplicitato, allora l’interventismo spesso sbandierato ha finito per provocare a lungo termine tutta una serie di fenomeni che hanno minacciato ugualmente, e forse in maniera peggiore, quel modello che si intendeva difendere. Di rimpiangere i tempi in cui si era pappa e ciccia con un dittatore forse non è il caso, tuttavia nello scacchiere internazionale qualcuno ha mosso la propria pedina senza badare alla contromossa.