Il cappotto di Renzi

Angelo Cennamo   

Fin quando non si sarà esaurita la spinta propulsiva di Matteo Renzi – scrive Angelo Panebianco sul Corriere – non ci sarà spazio per una rinascita del centrodestra. All’indomani dell’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, quella spinta non pare proprio attenuarsi. Anzi. Mattarella, infatti, è stato sì eletto capo dello Stato dal parlamento, ma di fatto a nominarlo per quell’incarico ci ha pensato, in perfetta solitudine, il premier. Lui che eletto non è e che a Palazzo Chigi si è catapultato dopo una complicata operazione di Palazzo innescata dall’imprevisto pareggio del Pd alle elezioni politiche del 2013. L’ultima mossa di Renzi rappresenta così  la ciliegina sulla torta di una breve ma intensa parabola politica fatta di cinismo, spregiudicatezza ma anche abilità. Mattarella è un vecchio democristiano di sinistra cresciuto e pasciuto all’ombra di De Mita, espressione di quel cattocomunismo che ha forgiato anche altri protagonisti della stagione ulivista, da Luigi Zanda a Rosi Bindi, e lo stesso Aldo Moro, precursore se non ideatore dei governi di sinistra-centro che hanno poi condotto alla nascita del partito democratico con la fusione dei Ds alla Margherita. Il nome di Mattarella Renzi lo ha reso noto solo a poche ore dal quarto scrutinio, quello cioè che consente l’elezione del presidente della Repubblica con la maggioranza semplice dei grandi elettori. Silvio Berlusconi, sodale del premier nel partito trasversale del “patto del Nazareno” , che nei mesi precedenti aveva più volte soccorso il Pd facendo votare ai suoi deputati e senatori l’italicum, parte delle riforme costituzionali già avviate e molto altro, immaginava di aver maturato una sorta di credito politico in prossimità delle quirinarie, e scalpitava per incassare il meritato premio. Ma quel “do ut des” che tutti avevano prefigurato alla vigilia del voto si è invece trasformato in una giravolta micidiale del ragazzotto di Pontassieve che ha steso in un solo colpo Forza Italia, Ncd e i loro leader. I forzisti, per evitare il peggio ed inimicarsi dopo Napolitano pure il suo successore, avevano deciso solo all’ultimo di rimanere in aula e di votare scheda bianca. Ma come spesso accade le disgrazie non arrivano mai da sole : Alfano, infatti, dopo aver concordato la strategia dell’astensione con il Cavaliere, ha preferito cedere al diktat del premier, piuttosto che ritrovarsi sulla stessa linea del futuro alleato in vista delle regionali e non solo quelle. Il cappotto – anzi il loden di Mattarella –  è servito. La Waterloo del centrodestra somiglia tanto ad un punto di non ritorno. Il partito di Alfano, già costruito su basi precarie e senza alcun richiamo elettorale ne’ contenuti programmatici significativi oltre il sostegno cieco ed ossequioso ai Democratici, rischia infatti di evaporare nel giro di qualche settimana. Allo stesso modo, Berlusconi, per non perdere gli ultimi scampoli della sua coriacea resistenza, sarà costretto a fare buon viso a cattivo gioco e rimanere aggrappato al patto del Nazareno, con conseguenze evidentemente disastrose per Forza Italia. Il solo a salvare la faccia e i voti in questo momento è Matteo Salvini, perpetuatore di una destra identitaria e conservatrice che fa leva sullo spauracchio dell’immigrazione clandestina e sulla sudditanza dell’Italia alla Ue, ma improbabile surrogato di una destra liberale autentica che si proponga di ritornare al governo del Paese in tempi ragionevoli e con volti nuovi. Errore dopo errore, il vuoto rimasto del fu berlusconismo rischia di somigliare ad una profonda voragine che non lascia intravedere il fondo. La spinta propulsiva di Renzi ha risucchiato tutto e tutti.