Un nuovo miracolo di San Gennaro a Napoli, capitale del Sud, non esiste familismo amorale

Giuseppe Lembo

Siamo sempre alla solita storia. A Napoli, in Campania ed al Sud più in generale, i mali di Napoli, della Campania e del Sud sono solo mali inventati; non esistono ed anche se dovessero in qualche modo esistere, sono mali di casa nostra; agli altri non devono assolutamente interessare. Povera Napoli nostra, povera Campania, povero Sud, che si compiace di nascondere i suoi mali, appellandosi ai miracoli e/o ad una bacchetta magica che tutto può magicamente fare scomparire, mettendo così, ordine al disordine! Così facendo, siamo alla follia! Così facendo, siamo ad un futuro assolutamente negato! Nei paradisi del Sud c’è sempre più un tutto va bene. Altro che mali!

Napoli è stata la capitale delle promesse di un nuovo Rinascimento napoletano; un Rinascimento che doveva comprendere anche l’area di Bagnoli, da trasformare miracolosamente in California del Sud, così come promesso un paio di decenni fa dall’ex governatore della Campania Antonio Bassolino.

Ma siamo bravi, veramente bravi a farci male, con l’assurda pretesa di cancellare miracolosamente l’evidenza delle cose!

 A chi giova tutto questo? A chi può stare bene negare l’evidenza delle cose, gridando al mondo che dei gufi bugiardi e/o dei falsi analisti di mondi inventati parlano sparlando di cose che di fatto non esistono?

Parlano sparlando, predicando solo cose inventate; tanto, per compiacersi di fare male ad un mondo ovattato, ricco di benessere, di certezze antropologiche, di solidale umanità di insieme e purtroppo, anche di una falsa inventata nomea chiamata “familismo amorale”, un marchio infamante del tutto inesistente, pensato da un fottuto politologo americano venuto al Sud con la pretesa di squarciare con le sue verità, i veli di un mondo che deve rimanere impenetrabile, perché è giusto che sia così e perché così vuole la gente meridionale, intellettuali compresi; anzi, molto spesso, per garantirsi i privilegi del loro sapere paesano, sono proprio loro rabbiosamente in testa, dissentendo ferocemente da chi la pensa diversamente.

Con questi scenari tristi il Sud familista è entrato nel terzo millennio, cospargendosi sempre più spesso il capo di ceneri per un negazionismo aggressivo del proprio essere antropologico; tanto, checché ne pensi lo storico Giuseppe Galasso o altri come Gabriella Gribaudi, astro nascente di un sapere meridionale fortemente scandalizzato dal fatto che ancora si vanno riproponendo le analisi del politologo Banfield, come portati di amare verità di una condizione antropologica presente e fortemente diffusa sui territori meridionali e tragicamente a Napoli ed in Campania dove si pensa a soluzioni borboniche (recente il viva o’re per Carlo di Borbone in visita a Napoli)per risolvere i mali del Sud, attraverso un ritorno familistico al Medioevo, in controtendenza rispetto al processo di mondializzazione in atto che vuole le diversità in cammino attive protagoniste di un mondo nuovo.

L’occasione per gli sputasentenze napoletane, lo storico Galasso in testa, viene ancora una volta da un testo scolastico, già nel 2011 al centro di animate quanto inopportune discussioni e feroci attacchi censori.

Il testo ha il titolo “La discussione storica”, pubblicato dalle Edizioni scolastiche di Bruno Mondadori. Ne sono autori Alberto De Bernardi che insegna storia contemporanea a Bologna, membro di importanti riviste regionali ed internazionali e Scipione Guarracino con una lunga esperienza di insegnamento nei licei.

La pietra dello scandalo che si ripropone con forte attualità non riguarda il passato e la tragica storia meridionale, fatta di disumani tradimenti nei confronti di popolazioni in solitudine, assolutamente incapaci di stare insieme e di cooperare, com’è giusto fare, al fine di raggiungere quel bene comune al Sud da sempre negato; da sempre promesso e di fatto mai realizzato, rendendo così i territori impossibili da vivere, perché ammalati di solitudine e familisticamente, proprio come ai tempi di Banfield del deficit di un solidale agire insieme, al fine di quel bene comune oggi 2015, ancora negato; ancora espressione maltrattata e violenta di una Terra promessa.

Gli animi napoletani, dilatati inopportunamente tanto da far capire di essere il Sud nella sua interezza, si sono ancora una volta accesi (succede sempre più spesso, non avendo da fare altro e non avendo soprattutto la capacità e/o la volontà di cooperare, producendo idee per un mondo concretamente nuovo e senza familismo), per la frase del testo incriminato riferita alla questione meridionale.

Purtroppo, smentendo i soloni del sapere napoletano, c’è da dire che siamo ancora di fronte a parole veritiere.

Non è forse vero che al Sud, oggi tragicamente in grave difficoltà umana per la sopravvivenza dei più, c’è “… una organizzazione sociale ed una identità civile profondamente diverse da quelle delle regioni centro-settentrionali. Esse sono dominate da un individualismo diffidente, nel quale gli interessi della famiglia o del clan si antepongono e, inevitabilmente, si contrappongono a quelli dello stato e della collettività nazionale. Su questo sottofondo pesano gli inciuci clientelari e la pervasività della violenza come pratica diffusa e sostanzialmente accettata per la risoluzione dei conflitti, sul cui tronco sono sorti associazioni criminali di dimensioni gigantesche”.

Ma dov’è il problema? Non è forse così? Chi lo disconosce forse pensa ad un Sud e ad una Campania, terra di paradisi inventati, dove è bello vivere, sognando. Ma, purtroppo, solo sognando e sognando sempre più sogni amari.

Al Sud e soprattutto nella città del Sole c’è tanta felicità per tutti; la vita è bella da vivere e non dà alcun problema al cittadino che vive serenamente la sua esistenza. Tanto se non fosse per qualche inopportuno rompiscatole; negli anni cinquanta, lo fu anche la presenza del politologo americano in quel di Chiaromonte in Basilicata, marchiando il Sud di un’infamità sociale, quella del familismo amorale, assolutamente inventato così come con indignazione vanno ripetendo ancora oggi, i santoni della cultura meridionale, con in testa Giuseppe Galasso.

Turbamento individuale? Scoramento collettivo? Sono invenzioni di chi usa il cervello solo per rompere le scatole alla gente. Non esistono e non sono mai esistiti.

Al Sud si vive bene insieme; la gente fa rete ed insieme al meglio riesce a trovare le soluzioni giuste ai problemi economico-sociali, felicemente risolti.

Il turbamento individuale o lo scoramento collettivo per effetto di una falsa condizione familistica non esiste.

La gente sa bene come vivere insieme, facendo tesoro delle tante esperienze condivise.

Questo è quanto dicono i difensori della bella Napoli che, fiduciosi come non mai, si affidano all’assolutismo di qualche potente monarca, felicemente soddisfatti quando il popolo, in coro da stadio grida “viva o’re” o si attende da San Gennaro il miracolo del “tutto va bene”; del “tutto va bene”, secondo le buone intenzioni dei “padreterni” del Sud, che vivono di rendita, con il solo fare dei buoni propositi, a cui hanno, tra l’altro, affidato da sempre, il loro familistico affare sociale di cambiare tutto, per non cambiare niente; tanto, avendo capito che questo è il modo migliore per contribuire al funzionamento del meccanismo sociale.

Un modo non improvvisato e tanto meno affidato al caso. Un modo assolutamente ben consolidato.

È questo, il modo di fare politica al Sud, facendo furbescamente, solo finta, di modificare il corso delle cose; tanto, da arbitri unici a cui la gente familisticamente si affida, delegando in bianco le proprie attese di cambiamento.

Ah, ah, la questione meridionale! Una questione rompiscatole che oltre alla criminalità mafiosa, alla camorra, all’emigrazione, alle tante forme di diffusa povertà presente ieri come oggi, ha regalato al Sud anche il marchio antropologicamente profondo e penetrante del familismo amorale.

Il Sud cari Galasso e Gribaudi è una realtà dell’Italia, mai di fatto unita purtroppo ancora fortemente ammalato di familismo amorale. Tanto è, con grave danno per la gente,  ancora familistica ed antistatalista. Non è questa una falsa invenzione di un antropologo fottuto di testa.

Il politologo Banfield che non si è mai compiaciuto di avere individuato nel Sud i gravi mali umani e sociali del familismo era uno studioso serio e molto, ma molto perbene.

Come può Gabriella Gribaudi indignarsi parlando inopportunamente di antropologia razzista?

Non è certamente nel grave fenomeno del familismo denunciato da Banfield e da tanti altri studiosi successivamente, la causa dei gravi mali di Napoli e più in generale dell’intero Sud.

Il familismo è, purtroppo, causa ed effetto di un malessere profondo che è generato da un individualismo diffidente che non permette e stando così le cose non permetterà ancora per lungo tempo, di agire e di cooperare al fine del bene comune.

È questa, professoressa Gribaudi un’amara realtà di Napoli e del Sud più in generale; non è pazzesco riproporre come attuale l’analisi di Banfield; è, piuttosto irresponsabile e culturalmente deprimente pretendere di oscurare e per sempre, la teoria banfeldiana del familismo, conservandone tutte le caratteristiche nella società meridionale e campana o meglio ancora napoletana che proprio non vuole fare i conti con la storia e voltare, così come si conviene, concretamente pagina, creando le condizioni umane, sociali, economiche, politiche e soprattutto antrolopolico-culturali per sconfiggere il familismo meridionale, dando vita, per questo fine, così come si attende la gente che non ce la fa più a campare, ad un mondo nuovo; tanto, a partire almeno dalla speranza di un mondo nuovo.

Al professore, storico meridionale Giuseppe Galasso, con altrettanta forza da intellettuale autentico, assolutamente libero e non allineato per andare all’incasso di poche opportune rendite di posizioni, da sociologo e comunicatore autentico rimando indietro le sue critiche radicali.

Dico, tra l’altro, che sarebbe un errore applicare la teoria del familismo amorale così come proposta d Paul Ginsborg tout court agli italiani. Lei, professore Galasso, lo sa bene che non è così; le due Italie sono ben delineate.

Come già riconosciuto da approfondite analisi socio-antropologiche al Nord, dal secondo dopoguerra in poi ha ben funzionato e prodotto i suoi risultati di cambiamento e di sviluppo, il familismo efficiente; purtroppo, il Sud non ha saputo, perché non conveniva  a chi l’ha governato sgovernandolo, realizzare quella mutazione genetica che lo doveva portare al superamento del familismo amorale

Nonostante tutto, tra ombre e luci (ma più ombri che luci) è rimasto nella sua condizione disperata di un “mondo familista”; un mondo chiuso in se stesso; un mondo, incapace di agire e di cooperare, per il bene comune.

Un mondo, che, cammin facendo, si è, tra l’altro, fortemente aggravato nei comportamenti umani.

Non sono solo e semplicemente familistici ed incapaci di agire per il bene comune; sono, purtroppo e, sempre più, fortemente egoistici e protagonisti senza futuro, di uno sconsiderato io del tutto per sé, attento all’apparire ed ai soli beni di un mondo dei consumi propri del solo apparire che vanno cancellando inopportunamente i valori dell’essere.

Tanto, proprio nel mondo meridionale che, con Parmenide e Zenone nella Terra Eleatica, vide nascere il pensiero dell’essere, il solo che oggi, superando discussioni assolutamente senza significato, può mettere ordine nel disordine umano non solo campano o meridionale, ma italiano ed oltre, considerata la dimensione globale del nostro vivere sulla Terra.

Al prof. Galasso, c’è da dire che, parlare di familismo al Sud non è assolutamente una ripetizione di quello che teorizzò il saggio pensatore di oltreoceano.

Banfiled va rispettato per la grande serietà della sua teoria; se ancora è attuale e presente così come lo è, non è certamente per colpa di Banfield.

Le responsabilità, caro professor Galasso sono del Sud e della sua classe dirigente; sono dei politici e degli uomini di cultura che come lei, preferiscono, di fronte ai problemi umani, sociali, politici, economici e soprattutto culturali che scottano, fare finta di niente; preferiscono mettere il silenziatore e dire ai quattro venti che non esistono.

Oggi a Napoli capitale del Sud, ma allo stesso tempo la più africana delle città meridionali, è proibito parlare dei mali di Napoli; della città di Napoli e del Sud più in generale o se ne parla bene o non se ne deve assolutamente parlare. Se non si fa questo, si è messi alla gogna.

Tanto, succede sempre più spesso, con grave danno per il futuro umano, culturale e del cambiamento possibile di Napoli, una città proibita; chi si avventura a parlarne rischia di rimanere fulminato da un fondamentalismo di pensiero tout court che, a mio avviso, non giova proprio a nessuno, se non a chi sta bene come sta e non vuole nessun cambiamento. Intanto è necessario cambiare.

Cambiare si può! Cambiare si deve!

Caro professore Galasso, con tutta la stima possibile, dico che per onestà intellettuale (lo so che non lo farà), dovrebbe chiedere scusa a quei cosiddetti superficiali sociologi ed antropologi che, secondo lei, hanno attribuito ed attribuiscono al Sud il falso modello del familismo amorale.

Come lo storico registra gli avvenimenti della storia, così anche il sociologo registra bene e responsabilmente i comportamenti umani individualmente negli aspetti antropologici e nel loro evolversi, come insieme sociale.

Non c’è, quindi, superficialità. C’è solo e sempre il saggio risultato di una scienza applicata all’analisi della società.

Di orecchiabile, purtroppo, e sempre più spesso, c’è tanta confusione anche negli analisti di fenomeni storici complessi, basati spesso sul niente o sulle cronache di eventi in divenire che, così come descritti, sono solo e sempre più, semplificazioni banali.

La storia è purtroppo scritta solo da chi comanda, assumendosi in proprio il ruolo di raccontare per raccontarsi da vincitore per niente super partes, con i vinti sociali, purtroppo, nel ruolo di senza storia o di comparse, esclusi dalla storia, un privilegio dei soli protagonisti di sempre, a cui compete unicamente di scrivere la storia.

E così anche al Sud del nostro Paese, dove le ragioni della storia sono fondamentalmente le ragioni di chi ha avuto il ruolo di scrivere la storia.

I senza storia, un popolo senz’anima, tra l’altro, fortemente familista amorale, sono da sempre esclusi dalla storia che fa valere, non le ragioni di chi ha ragione, ma le sole ragioni di chi ha la capacità di imporsi, prevalendo egoisticamente sugli altri, sempre più spesso con il peso schiacciante di egoismi familistici, una costante umana e sociale fortemente radicata al Sud d’Italia, poco attento a pensare positivo, preoccupandosi così di costruire un insieme umano e sociale rispettoso dell’altro in quanto uomo.

Questo non c’è al Sud; c’è, purtroppo una condizione diffusa di egoismi umani che esistono come ai tempi di Banfield e che, come definiti dal politologo Banfield è opportuno continuare a chiamarli familismo amorale; tanto, fino a quando non cambieranno concretamente le condizioni della società meridionale che, mi auguro, sappia cambiare e costruire insieme agli altri, da protagonista un mondo nuovo; un mondo di pace, non più familista, ma fortemente solidale, facendo delle diversità una ricchezza per meglio vivere, insieme agli altri, la propria vita sulla Terra.

Il familismo amorale al Sud ed in Campania c’è; c’è, purtroppo, ancora oggi così come ai tempi in cui venne studiato dal politologo Banfield.

C’è, per precise responsabilità individuali e collettive fortemente radicate nel mondo meridionale, dove, purtroppo dominano scenari tristi di corruzione politica, di povertà, di profondo malessere sociale ed una disoccupazione sempre più grave, un nemico invisibile, che si autogenera, autogenerando tragedie umane di cui, proprio come con il familismo, è difficile arrivare alla sua eliminazione, in quanto retaggi di una feudalità tarda a morire, con un popolo alla ricerca di simboli fascinosi ma ingannevoli di un potere che si rigenera generando familismo amorale, di cui lo studioso Galasso farebbe bene a studiarne le cause, piuttosto che gridarne inopportunamente, da negazionista tout court, la sua inesistenza.